Santu Sciuvanni di Laura Cialè: un racconto per Salento in Love

Ed ecco online il primo racconto tra i partecipanti al Contest letterari “Salento in Love – I mari e le torri”, Santu Sciuvanni di Laura Cialè. Sullo sfondo del racconto dell’autrice romana il faro di Torre San Giovanni, suggerito dallo stesso titolo in dialetto salentino.

Santu Sciuvanni 
di Laura Cialè

Accovacciati sulla sabbia, si stringevano per coprirsi dalla frescura settembrina.
«È l’alba, Michele, e si scorgono già, te la ricordi la notte di Santu Sciuvanni?»
«Certo che me la ricordo. Mi sembra di rivederli in mezzo al mare. Le gobbe arcuate dal peso sopportato, le orecchie lunghe e quella specie di sorriso coi dentoni messi in bella mostra. Eccoli là, spaparacchiati tra le onde che li accarezzano, li coprono e poi li portano via. Felici come non mai. Appaiono prima della linea dell’orizzonte quando ci siamo noi.»
«Dodici ore di magia, irripetibili anche per me che me la cavo in questo campo.»
«Libera di nome e di fatto, anzi di più. Libera Lafortezza è un programma di vita. Sei una strega o una fata?»

«Non mi sfottere. Lo sai, ho il dono di poter comunicare con piante e animali, però Ignazia e Annibale mi sono rimasti nel cuore così come il colore turchino del mare quando vi si buttarono con foga per provare un’ebbrezza che mai avevano vissuto prima d’allora. La forza della natura, il sentimento vero. Solo allora capii cosa vuol dire veramente essere liberi. Compresi d’un tratto il significato del mio nome che qualcuno mi assegnò quando fui trovata sotto la torre a scacchi. Fu un attimo mentre io ballavo, mi contorcevo, mi sdraiavo a fianchi sollevati presa dalla frenesia, mentre tu suonavi il tamburello e gli altri pizzicavano violino e chitarre.»

«Sì, sotto la torre di San Giovanni, eri completamente tarantata quella notte, un ammasso di capelli da corvo su cui guizzava il fuoco dello scialle, la faccia paonazza e le gambe che volavano instancabili. Quei due poveri ciucci ti guardavano terrorizzati finché al sorgere del sole accadde il prodigio.»
«Ci fermammo tutti, scese il silenzio, sacro come il sole che cominciava ad apparire assegnando ad ogni forma smaglianti coloriture distribuite tra il turchese, il fucsia, il bianco. Corremmo con gli strumenti in mano sulla spiaggia, seguiti dal trotto sempre più affrettato, e riprendemmo a ballare sulla riva. Pure loro a modo loro, lo si capiva perché riuscivano a tenere il ritmo con occhi che sembravano ipnotizzati. Poi il galoppo, dopo che Annibale mi disse di aver visto spuntare dalle onde una mandria di loro simili, tutti grigi, per adagiarsi sulle acque.»
«Erano impazziti.»

«No, erano accesi dalla voglia di libertà ispirata da questo mare. Loro che non erano mai stati indipendenti né in grado di guardare l’orizzonte, sempre legati da quando facevano divertire i bambini portandoli sulla groppa ai giardini comunali, incatenati ad una corda alla cui cima riuscivano a vedere solo la mano di chi li conduceva, quella stessa mano che li aveva portati in campagna, ormai vecchi e inservibili. Fu proprio a due chilometri da qui che li scorsi, tristi e assonnati, sporchi di fango secco. Quella sera ero in vena di esplorazioni: mi avventurai quasi sentissi una voce che mi chiamava, anzi erano due voci molto strane piene di O e di I. Nel mezzo della sterpaglia incolta mi apparve un gruppo di pajare semi diroccate, accanto alle rovine di quella che doveva essere stata una piccola masseria circondata da fichi e ulivi ormai inselvatichiti.
Non ebbero paura di me. Mi guardarono con occhi rassegnati e ci presentammo.»

«Vi siete dati mano e zampa o avete fatto l’inchino? Piacere Libera e voi come vi chiamate? Quale lingua parlate, quella del raglio? Non vi preoccupate ché tengo il traduttore simultaneo in testa.»
«Smettila, Michè, sai bene che parlo con gli animali. È come se ci leggessimo nel pensiero.»
«Lo vedi? Telepatia bestiale!»
«Basta sfottermi o ti faccio seccare i gioielli, ne potrei essere capace!»
«Ecco, lo dicevo io che sei una strega! Per carità, come non detto, ritiro ma tu continua, non mi hai mai raccontato tutto.»

«Li ho amati da subito per la loro mansuetudine, per l’accoglienza affabile e rispettosa, per la semplicità nell’essere e nell’accettare, per gli occhi buoni e sinceri.»
«Mi hai tradito! Non amavi solo me?»
«Ecco ricominci. È un altro tipo di amore che non ti so spiegare a parole ma so che potresti capirlo se solo ricordassi come ti rivolgevi agli animali quando eri piccolo: pensavi che foste tutti uguali, se non per le differenze fisiche evidenti, perché facevate parte dello stesso creato. Ecco io sono così, un’adulta con occhi di bambina, perciò riesco a comunicare con loro.»
«Lo so, non ti avrei preferita alle altre altrimenti. Ebbene? Vai avanti.»

«I nomi glieli aveva messi qualcuno, come per me. Annibale era stato soprannominato Macchia da Ignazia che aveva conosciuto al giardino, vicino alle giostrine. Lei se ne era innamorata da subito vedendolo bello impettito, con quel pelame dalle mille sfumature proprio come la macchia mediterranea. Lui l’aveva snobbata, più che altro la detestava perché gli era stata imposta da una schiavitù di giri in tondo. Un giorno, però, sentendo le grida di gioia dei bambini che la tiravano per la cavezza la osservò meglio: era di un bianco rosato come la pietra leccese, con la coda arricciata da fregio barocco, una Rosella. Da quel giorno cominciò silenziosamente a marciare sempre più vicino a lei, tenendo il suo passo, legati ormai da un nodo indissolubile fino a conclusione dei loro giorni.»
«E poi?»

«Una volta lasciati da soli nella tenuta abbandonata si erano sentiti in paradiso potendo muoversi in autonomia, mangiare cardi e melograni, leccare miele dal favo delle api che volentieri li lasciavano fare, bere l’acqua piovana che ristagnava in un catino arrugginito. Avevano tutto tranne la libertà di allontanarsi perché non sapevano cosa fosse.»
«E tu gliel’hai offerta.»
«Sì. Ho parlato loro del mare color turchese, del faro di Torre San Giovanni, delle acque calde, della sabbia bianca. Ho detto che mi sarebbe piaciuto se mi avessero seguito fin là ed hanno accettato. Il resto lo sai»
«Lo so e mi pare di avvistarli ancora mentre arrivano al margine delle secche e si trasformano in una duna che emerge solo per noi ogni volta che fissiamo il mare.»
«Il nostro mare, anch’io vedo la loro libertà.»

L’autrice – Laura Cialè
Nata a Roma, dove vive, ha lavorato per anni come dirigente scolastico in scuole di forte impatto. Psicologa-psicopedagogista iscritta all’albo, dopo alcune pubblicazioni a carattere tecnico-scientifico che riguardavano l’organizzazione scolastica e i sistemi di apprendimento ha deciso di dedicarsi alla narrativa da sempre una delle sue passioni. Ha già pubblicato una novella Il figlio nato lontano nell’antologia EWWA, Italia: Terra di amori arti e sapori (Amazon KDP, 2014) e il suo romanzo d’esordio è stato Tutti i fiori del mio giardino (Amazon, 2015). In prossima uscita un romance dal titolo provvisorio Una donna in leasing.

Approfondimenti: per scoprire il Salento
Torre San Giovanni è una frazione di Ugento sul litorale jonico leccese. Voluta da Carlo V d’Asburgo nel XVI secolo come sito di difesa contro i saraceni, si trova su un piccolo promontorio proteso in mare che divide idealmente a metà la costa ugentina, da un lato rocciosa e dall’altro, a sud, sabbiosa, una sabbia bianca e fine, che attira i turisti da ogni dove. Nel corso dei secoli, da torre di vedetta è diventata faro, per il sollievo dei naviganti che spesso incappano nelle pericolosissime secche. Il suo aspetto la distingue da tutte le altre torri costiere del Salento: dipinta a scacchi bianchi e neri, infatti, oltre a rendere la torre visibile da grande distanza in mare, la identifica nell’immaginario collettivo.

*La grafica della cover a cura di Dora Foti Sciavaliere.