Sulle rupe della dannata di Virginia Leone: un racconto per Salento in Love

Prosegue la selezione del contest Salento in Love, mentre rimane poco meno di un mese alla scadenza. Oggi pubblichiamo Sulle rupe della dannata di Virginia Leone, che si rifà ad una leggenda salentina legata a Torre dell’Alto.

Sulla rupe della dannata
di Virginia Leone

Alla fine era scappata e si era rifugiata per qualche giorno nel sud della Puglia, sulla costa del Salento. Era stata la terra di sua madre e delle vacanze estive della sua infanzia, ma non ci tornava da anni. Molto era cambiato dai suoi ricordi, ma molto era rimasto immutato, quasi quella terra fosse fuori dal tempo.
Dopo una giornata, immersa nella polvere dei ricordi e dei più infidi acari, nel palazzetto dei nonni materni, sedere lì, sul piccolo balconcino che dava sulla piazzetta, vista mare, di Santa Maria al Bagno, le dava un senso di leggerezza. Almeno finché suonò il cellulare. Era Amelie, la sua ormai insopportabile suocera. La donna che aveva trasformato i preparativi del suo matrimonio in un incubo.
Non avrebbe risposto.

Si alzò e scese in fretta sul lungomare, incamminandosi lungo il litorale frastagliato. Inghiottita dai suoi pensieri, non si accorse di aver lasciato alle spalle Santa Maria al Bagno e superato Santa Caterina. Una passeggiata di tre chilometri con il sole che calava sull’orizzonte gettando in cielo pennellate indaco, mentre le acque azzurre e turchese del mare diventavano color cobalto. Si sedette a cavalcioni sul muretto dello slargo, ai piedi del promontorio di Torre dell’Alto. Allontanò lo sguardo sull’orizzonte, ormai la luce del tramonto si era affievolita fino a cancellare il confine tra cielo e mare. Poi lo alzò sull’ombra incombente della massiccia torre, una delle sentinelle di quella costa minacciata per secoli dalle scorribande di invasori stranieri. Qualcosa di indistinto attirò la sua attenzione, ai piedi della torre, sull’argine dello sperone roccioso. Una figura di donna, forse inginocchiata a pregare.

Serena scattò in piedi e il fiato le si spezzò in gola per la paura. La donna all’improvviso si era lasciata cadere nel vuoto. Per un istante la sua veste bianca sembrò la scia di una cometa, poi scomparve alla sua vista.
Nessuno pareva aver notato nulla, tranne lei.
Una sensazione di gelò la fece rabbrividire. Era stata un’allucinazione? Il cuore le martellava in petto. Colpa dello stress, certo. E di Amelie, quella donna la stava facendo diventare matta.
Piano si incamminò verso il palazzetto dei nonni.

– Un caffè in ghiaccio con latte di mandorla!
Serena aveva passato una notte da incubo. Aveva sognato di trovarsi in cima al promontorio. Stava fuggendo e sentiva incalzare una presenza alle sue spalle. Il vestito le intralciava la corsa e lo tirò su, ma continuava a guardarsi indietro, con il fiato corto e il cuore che le scoppiava nel petto, poi inciampò e il vuoto. Fu avvolta in una nuvola di taffetà e organza bianca, il suo abito da sposa. Anzi l’abito che aveva scelto per lei Amelie. E si era svegliata, di soprassalto, con addosso il terrore di precipitare davvero dal dirupo.
Serena girò i cubetti di ghiaccio nel caffè e bevve un sorso. E pensò di nuovo al suo abito da sposa, lei lo avrebbe voluto color champagne e senza troppi volumi, non voleva sentirsi simile a una meringa su un tacco quindici. Sbuffò.

– Dormito male? – le domandò Tonio, l’anziano titolare del bar. Lo era già quando andava lì in vacanza da bambina e si era meravigliata che l’uomo l’avesse riconosciuta dopo tanti anni. Le aveva detto che c’erano impronte di famiglia di cui non ci si poteva liberare. Probabilmente gli altri la chiamerebbero genetica, pareva comunque che somigliasse molto alla nonna da giovane.
– Un incubo. Precipitavo da Torre dell’Alto.
L’uomo si corrucciò e sedette accanto a lei. – Tua nonna non ti ha mai raccontato la leggenda della rupe della dannata?
Serena negò con la testa, ingoiando l’ultimo sorso di caffè.

– Si racconta che secoli fa una ragazza, prossima alle nozze con l’uomo che amava, morì gettandosi dalla rupe ai piedi della torre, per sfuggire al diritto della prima notte imposto dal Guercio di Puglia. Si dice che in certe notti di luna piena, in cima alla rupe, si veda una donna vestita da sposa, che prega sulla roccia a strapiombo sul mare. Almeno così si racconta.
– E qualcuno l’ha mai vista?
Se così fosse stato, forse non era proprio pazza.
– Tu l’hai vista? – sorrise sornione il vecchietto.
Non voleva sembrare una povera visionaria, quindi rispose con una mezza verità. – Ho visto qualcosa ieri sera sulla rupe. Ma di sicuro non lo spirito di quella donna. – E rise nel tentativo di nascondere la propria irrequietezza.

L’uomo si alzò e fece per andare via. – Ho fatto riparare la bici di mia nipote, se ne hai bisogno puoi usarla quando vuoi – aggiunse poi, indicando la Graziella poggiata al lampione fuori dal bar.
Serena non se lo fece ripetere due volte. Pagò il caffè e montò sulla bici, percorrendo tutta la litoranea fino ai piedi del promontorio di Torre dell’Alto, con la brezza umida di salsedine che sferzava la sua corsa.
Una futura sposa suicida. Che ironia della sorte!
Ecco perché l’abito bianco, era l’abito nuziale.
Ed ecco perché nel suo incubo anche lei indossava il suo abito da sposa.
Che fosse un segnale?
Non doveva sposarsi.
Amelie era per lei come lo jus primae noctis per quella povera disgraziata.

Guardò la torre con timore, poi decise di spingersi fin lassù. Magari le idee si sarebbero schiarite e prese il sentiero tra il lentisco e il mirto. Una rozza scalinata impervia la condusse in cima, con il fiato corto. Di fronte a lei le arcate, che reggevano la scala di accesso alla torre, incorniciavano parte del panorama. La vista era da togliere il fiato, quel poco che le era rimasto. Aggirò la torre, che da lì sembrava davvero un gigante buono che con la sua mole minacciava i nemici provenienti dal mare. Camminò facendo scorrere la mano sulla ruvida pietra e poi si fermò. Pochi metri di rupe e poi il mare a perdita d’occhio. Si appoggiò con le spalle contro la torre, la pietra calda le dava sicurezza mentre il vento pareva spingerla verso il baratro.

La tentazione però fu forte. Seguì la roccia che, irregolare, degradava verso il basso e fu lì, sul limite. Sotto di lei l’azzurro, il turchese, il blu si mescolavano nelle risacche che si infrangevano lente sugli scogli. Pensava che avrebbe fatto più paura, invece avvertiva solo un vago senso di vertigine per l’altezza. Si sedette su una roccia e rimase, per un tempo che non seppe definire, immobile a fissare quel mare dalle sfumature cangianti e screziato di sole. E ripensò a quella ragazza, forse dannata, ma che in quel mare aveva cercato la libertà da un’imposizione disumana.
Pure a lei toccava una scelta.
Anche se la sua era tutta un’altra storia.

L’autrice – Virginia Leone
Salentina di adozione dopo aver vissuto in diverse regioni, lavora nel settore turistico e ama scoprire luoghi nuovi. La passione della scrittura l’accompagna da sempre, insieme a impulso convulsivo da lettura. Ha già pubblicato altri racconti all’interno di antologie ma con altri nomi. Il Salento è spesso elemento dei suoi scritti.

Approfondimenti: per scoprire il Salento
Torre dell’Alto, o meglio Torre Santa Maria dell’Alto, è una delle torri costiere del Salento situata nel comune di Nardò e ricadente nel Parco di Porto Selvaggio e Palude del Capitano. Posta su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, venne eretta nella seconda metà del XVI secolo con funzioni difensive su progetto del viceré spagnolo Don Pietro da Toledo. Finita di costruire già nel 1569 dal mastro neretino Angelo Spalletta, la costruzione presenta un basamento troncopiramidale a pianta quadrata, leggermente scarpato, separato dal corpo superiore da una cornice marcapiano.

Il piano superiore, dotato di porta d’accesso, termina con una cornice a beccatelli ed è provvisto di merli e di dieci piombatoie distribuite su tutti e quattro i lati. Una grande scalinata in tufo a tre arcate permette l’accesso. L’interno, costituito da due ambienti sovrapposti, è provvisto di cisterna per l’approvvigionamento dell’acqua; il piano terra era adibito al deposito delle scorte, il primo piano, diviso in quattro ambienti, era utilizzato come abitazione dei cavallari ossia le guardie che presidiavano la torre e in che in caso di eventuali arrivi di pirati lo segnalavano ai paesi dell’entroterra utilizzando il cavallo.

Ai piedi di Torre dell’Alto scrivevamo che vi è una rupe a picco sul mare, la cosiddetta  Rupe della Dannata. Si racconta che una fanciulla vissuta nel XVII secolo morì gettandosi nel vuoto da questa rupe per sfuggire allo Jus primae noctis imposto da Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, detto Guercio di Puglia, conte di Conversano e duca di Nardò. Lo Jus primae noctis cioè il “diritto della prima notte” indicherebbe il diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa. Secondo un’altra versione a perdere la vita fu il Duca Giovan Bernardino Acquaviva, che nel cercare di sfuggire ai pirati, non si accorse del pericolo a causa del buio, precipitando così dallo sperone roccioso.

* La grafica della cover è a cura di Dora Foti Sciavaliere