Al suo esordio narrativo, Monica Rizzello Bortone è una delle autrici selezionate per il contest “Salento in Love – I mari e le torri” con il suo racconto La torre dei desideri.
La torre dei desideri
di Monica Rizzello Bortone
Torre Lapillo, una torre costiera come tante altre, a difendere quel Salento bruciato dal sole e baciato dagli déi fin dalla notte dei tempi.
Torre unica, particolare, orgogliosa a modo suo, come quell’Agata che non riusciva ad abbassare la testa nemmeno se la guardavi fisso.
Lei ti fissava spudoratamente, piantava i suoi occhi scuri nei tuoi, e non c’era verso di farle cambiare idea. Possedeva la capacità di attirare l’attenzione semplicemente esistendo.
Come Torre Lapillo.
Adagiata sugli scogli, come Agata sul letto, si guardava attorno.
Ricordo ancora quando l’ho conosciuta: metà agosto, sudato e pronto ad imprecare io, calma e sorridente lei, in compagnia di tre suore.
Mentirei se dicessi di averla notata subito, impegnato com’ero a suonare seguendo lo spartito e a sistemare la pettorina del sassofono, che quel giorno non voleva saperne di stare dritta.
Poi la vidi, all’ombra della torre, e le marce religiose sembrarono non finire mai.
E dire che non avevo neanche voglia di andarci, a quella processione!
La giovane sconosciuta aveva una matassa di ricci scuri che sfuggiva dal velo austero che le cingeva il capo. Non pensai neanche per un minuto che potesse essere una religiosa.
Supplicai tutte le potenze, divine e non, che non lo fosse.
Mentre pensavo a come avvicinarla senza sembrare inopportuno, una delle suore che l’accompagnavano intervenne, senza saperlo, a risolvere la situazione: «Scusatemi, posso sapere cos’è esattamente lo strumento che stringete fra le braccia?»
La guardai prima di abbassare gli occhi sul mio orgoglio, la mia vita.
Allora ero uno dei pochi a possedere un sassofono, ed ero perciò abituato alla curiosità e alle domande. Stavo per aprire bocca e spiegare cosa fosse, quando l’avvicinarsi della giovane mi bloccò. Non mi degnò di uno sguardo, ma protese istintivamente le mani verso lo strumento.
Alzò gli occhi su di me, la guardai di rimando: e tutta s’impresse nella mia anima.
Più tardi, le suore le permisero di passeggiare con me sotto la torre, «A patto che non ti avvicini troppo al mare!», fu l’accorata raccomandazione che ci accompagnò.
Non che le donne la perdessero di vista.
Mi raccontò diverse cose quel pomeriggio, mentre la calura estiva si affievoliva dolcemente nella sera e si alzava una brezza profumata di mare e speranze.
L’avevo appena conosciuta, mi piaceva quel poco che vedevo e sapevo, e fui perciò sorpreso dall’intensità del dolore che mi colse quando mi rivelò che era promessa ad un altro.
Come se fosse il promesso sposo ad essere l’altro, e non io.
Non era per niente contenta di quelle nozze, imposte da sua madre, che decideva della sua vita come della propria. Non sapeva bene come opporsi, sapeva solo che non si sarebbe sposata.
Non con l’uomo scelto, almeno.
Aveva una sorella a Napoli, ma dipendente com’era dalla genitrice, non l’avrebbe mai accolta.
«Maria Teresa non è il tipo di persona che sfida nostra madre».
Guardava il mare mentre parlava, e io cominciavo a farmi un’idea di come fosse lei.
Scoprii di esserne preso e di non volere che si sposasse.
Mi confessò la sua soluzione al problema, a suo parere definitiva, secondo me catastrofica.
Voleva farsi suora.
Avrebbe preso i voti non appena avesse convinto la madre superiora della fermezza della sua fede.
Non avrebbe avuto ostacoli, mi disse, dato che le monache l’avevano cresciuta ed erano molto dispiaciute quando aveva dovuto abbandonarle per fare il suo ingresso nel mondo.
Doveva solo convincere suo padre, che per quanto l’adorasse e stravedesse per lei, ne sarebbe stato addolorato. Ma tutto era preferibile all’andare in moglie ad un uomo che non conosceva neanche.
Non perdeva mai di vista la torre, e quando gliene chiesi il motivo sorrise misteriosamente, lasciandomi in silenzio fino a quando lo giudicò opportuno. Mi aveva appena svelato il suo nome, e io il mio, che già mi raccontava una leggenda, una segreta speranza, che covava nel suo cuore da diverso tempo. «Suor Maria Giovanna mi ha raccontato una storia molto interessante. Le suore non parlano mai di queste cose, le considerano peccato, ma mi ha parlato di una credenza popolare… Lei non ci crede, ha studiato e viaggiato moltissimo prima di entrare in convento. Ma cos’altro posso fare?», mi fissò intensamente, per sincerarsi che non stessi ridendo, prima di continuare. «Si racconta che chiunque abbia un desiderio venga ad esprimerlo proprio su questa scogliera nelle notti di luna piena. E poi non resta che attendere il successivo plenilunio.»
«E cosa succede?» chiesi, non capendo dove volesse arrivare ma non osando interrompere le sue fantasticherie.
«Proprio non capisci, vero?» Mi sorrise ancora, come se fossi io quello che raccontava storielle. «Io credo di essere molto fortunata a poter vivere in questa terra, è magica, sai?
Non lo senti anche tu? Non percepisci il suo potere, in questo mare, negli ulivi, nella torre?»
In quel momento sentivo solo il suo profumo, sapeva di mare e di caldo, sapeva di casa e di amore.
Non potevo permettere che sparisse come i granchi tra gli scogli.
La lasciai andare, per quella sera.
Non mi disse quando e se ci saremmo rivisti, ma io sapevo cosa dovevo fare.
Attesi che tutti dormissero per avventurarmi sulla scogliera accanto alla torre, sorprendendomi per primo di me stesso. Non credevo in quelle storie, ma cos’altro potevo fare? Lo Jonio era calmo, la luna piena e alta nel cielo, ad illuminare quella torre che non avrei mai potuto dimenticare.
La guardai ancora una volta, prima di chiudere gli occhi.
La scalinata e gli archi erano alla mia sinistra, gli scogli sotto i miei piedi, il mare tutt’intorno a me. Respirai profondamente ed espressi il mio desiderio.
Un sole nome, cinque lettere.
La forza della mia volontà sarebbe bastata, ma non potevo ancora saperlo.
L’autrice – Monica Rizzello Bortone
È nata a Taranto nel 1991, laureata in lettere moderne, attualmente studia scienze dell’Informazione editoriale, pubblica e sociale all’Università di Bari. La potete sempre trovare impegnata nella lettura, nella scrittura, e nella visione di qualunque programma di Alberto Angela. Le sue origini salentine l’hanno ispirata – e spinta – a mettersi alla prova con questo racconto, il primo ad essere pubblicato.
Approfondimenti: per conoscere il Salento
Torre Lapillo è una torre di avvistamento sullo Jonio, conosciuta anche con il nome di Torre di San Tommaso, è una delle più grandi del territorio salentino. Presenta una struttura a base quadrata e una scalinata di accesso con tre archi sottostanti, di cui l’ultimo aggiunto solo recente: la scalinata terminava infatti con un ponte levatoio. Fa parte del sistema difensivo costiero voluto da Carlo V per proteggere il Salento dalle invasioni dei Turchi. Fu terminata nel febbraio 1568. Fu una frazione del comune di Nardò fino al 1975, quando fu aggregata al neocostituito Comune di Porto Cesareo.
La costa di Torre Lapillo si estende da Punto Prosciutto fino a Porto Cesareo in cui s’incontrano cale sabbiose alternate a tratti di bassa scogliera. La sabbia è bianca e finissima. È una tra le spiagge più lunghe e più belle del Salento, caratterizzata dal mare cristallino; la costa rocciosa è bassa e i fondali sono spettacolari per la presenza delle barriere coralline. Dietro la linea della costa sono ancora presenti dune sabbiose con rigogliosi loro ginepri arborei.
* La grafica della cover è a cura di Dora Foti Sciavaliere