All’incrocio dei mari di Cristina Giuntini: un racconto per Salento in Love

All’incrocio dei mari di Cristina Giuntini, selezionato per il contest “Salento in Love – I mari e le torri”, è ambientato a Leuca, dove si incontrano Lo Jonio e l’Adriatico, trattando un argomento ancora tristemente attuale.

All’incrocio dei mari
di Cristina Giuntini

L’aria era bianca, rarefatta. Le immagini sfocate tremolavano nelle pupille dei pochi che si erano azzardati a uscire, in quella giornata che pareva arrivare direttamente dall’inferno, e inutilmente cercavano un filo d’ombra schiacciandosi contro i muri indorati dal sole.
Rosa sedeva tranquilla, con la schiena appoggiata alle pietre, come se il caldo non riuscisse neppure a sfiorarla. Non una goccia di sudore vagava sul suo viso. I capelli, lunghi e folti, erano sciolti, anche se nessun vento arrivava a giocare con loro con il suo refrigerio.
Guardava il mare, Rosa. Era proprio lì, davanti a Leuca, che l’Adriatico e lo Jonio si correvano incontro, gioiosi come due vecchi amici che si ritrovano, sciogliendosi in un abbraccio che li univa e li mescolava, fondendo le loro essenze l’una con l’altra. Incontro, futuro, vita: questo era quello che la mente di Rosa inseguiva, mentre si chiedeva che cosa ci fosse, al di là di quei mari.
“Rosa! Rosa!”
La voce, vagamente ansimante, di Maria la raggiunse, ma Rosa non si mosse. Sentì i passi concitati dell’amica avvicinarsi, girare intorno alla torre, poi la percepì accanto a sè, ma non alzò lo sguardo.
“Lo sapevo! Sei di nuovo qui!” Maria incrociò le braccia con una smorfia, ma Rosa non la vide. “Eppure dovresti saperlo che è pericoloso. La torre è in stato di abbandono, ed è già mezza crollata. E poi, cosa ti viene in mente di uscire a quest’ora, con il rischio di prenderti un’insolazione?”
Rosa alzò le spalle. Maria non se la prese: era abituata ai lunghi silenzi dell’amica. Scuotendo la testa, si sedette accanto a lei, scacciando il pensiero dei jeans nuovi che avrebbe dovuto infilare in lavatrice non appena tornata a casa.
“Non ti capisco, Rosa. Perché sei così fissata con questo posto? A me fa paura già dal nome: Torre dell’Omomorto. Lo sai perché si chiama così, vero?” Maria fece una pausa a effetto. “Perché ci hanno trovato ossa umane. Chissà di chi erano, a quando risalivano… Magari c’è ancora un fantasma che abita nella torre! Secondo me, questo posto porta anche male…”
“Non dire sciocchezze, Maria” rispose finalmente Rosa, con voce pacata. “Come può portare male un posto come questo? Qui i due mari si incontrano, si legano: non possono portare che nuova vita, accoglienza, nuove strade…”
“Proprio! Non hai saputo? È previsto un nuovo sbarco, per stasera, forse proprio qui alla Marina. Anche nella nostra regione hanno iniziato, adesso! Non so come andremo avanti…”
Rosa si preparò all’ennesima discussione. “Maria, sono persone come noi. Scappano dalla guerra, dalla povertà. Cosa facciamo, li lasciamo soli? Cosa faresti tu, al posto loro?”
“Non mi interessa! Questa è la mia terra, non la loro. Ne abbiamo già abbastanza, di problemi…”
Fu allora che Rosa si alzò e si allontanò in fretta, senza degnare l’amica di uno sguardo.

La notte aveva mitigato il calore, ma l’aria era ancora ferma. Rosa saliva lentamente verso la torre, guidata dalla luna che rischiarava le sue pietre e l’acqua tranquilla dei due mari. Arrivata lì, si accorse che la porticina era stata forzata, ed era socchiusa. Esitò per un attimo, poi la spinse ed entrò nell’oscurità.
Una mano le afferrò un braccio. Rosa gridò, un grido che si perse dentro la stanza, poi si voltò.
Si guardarono per un attimo, nella luce che veniva dalla porta socchiusa. Poi, lui le lasciò il braccio e abbassò lo sguardo.
“Io… non voglio farti del male” disse Rosa, ancora tremante, “ma come faccio a fartelo capire?”
Lui accennò un sorriso. “Io… poco, ma capisco italiano.”
Il suo sorriso si riflesse nel viso di lei. Gli tese la mano. “Rosa”.
Lui la prese. “Mahdi”.
Bastò un attimo per capire che le parole non erano necessarie.
I due mari, una volta di più, si corsero incontro, si abbracciarono, si fusero.
Fu qualche ora dopo che la porticina si riaprì di poco, senza fare rumore. Un minuto, poi venne nuovamente socchiusa, mentre due occhi sconvolti si allontanavano in silenzio.

“Sono andati a prenderlo stamattina, ma non sono riusciti a bloccarlo. È schizzato fra le loro braccia e si è gettato in mare. Hanno detto che nuotava a una velocità impressionante, e che ci ha messo poco a sparire all’orizzonte.”
“Era sbarcato ieri sera, hanno detto. Era riuscito a scappare, facendola in barba al servizio di sicurezza. Non riuscivano a capire dove si fosse nascosto: pensavano che fosse già lontano. C’è voluta la segnalazione di quella ragazza. Certo, che coraggio!”
“E sai cosa si dice?” La voce si abbassò. “Si dice che con lui, stanotte, ci fosse la figlia di quel Professore… quello che insegna a Lecce. Da non credere.”
“Pazzesco. Povero ragazzo, però… Sicuramente avrà fatto una brutta fine. C’è poco da sperare: dove potrebbe essere arrivato, a nuoto? E con tutti i pericoli che ci sono in mare!”
“Che dobbiamo farci? Lo sanno, a cosa vanno incontro. Si prendono il rischio, devono accettarne le conseguenze. Dovrebbero sistemare le cose a casa loro, invece di venire qui.”
“È proprio vero: il nome di questa torre non gli ha portato bene…”
“Se l’è cercata. Andiamo, ti offro un aperitivo.”

Sono passati mesi, e Rosa torna ancora lì ogni giorno. Si siede con la schiena appoggiata alla torre, e aspetta. Non sente caldo, freddo, sole, pioggia o vento.Non ascolta le voci che bussano alle sue orecchie, e che le dicono che Mahdi è perduto per sempre, che non tornerà, che non è possibile che ce l’abbia fatta.Non le ascolta perché ha una voce dentro, nel cuore, che le dice il contrario.
Maria gliel’ha ripetuto piangendo disperata: l’ha fatto per il suo bene. Ma Rosa non l’ha perdonata, e forse non potrà mai farlo.
Rosa guarda il mare, là dove l’Adriatico e lo Jonio si incontrano, e sa che dalla loro unione non può arrivare alcun dolore. Sa che possono portare solo gioia, accoglienza, condivisione. Sa che, se le hanno dato Mahdi, non possono portarglielo via per sempre.
Aspetterà, non ha fretta.
Aspetterà fino al momento in cui vedrà di nuovo i suoi occhi. Lì, sotto la Torre dell’Omomorto.
Lì, dove i due mari si incontrano per non separarsi più.

L’autrice – Cristina Giuntini
Nata a Firenze nel 1966, vive a Prato con il marito. Parla Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo e Russo ed è impiegata presso uno spedizioniere, scrittrice nei ritagli di tempo. Ha scritto vari racconti per diversi eventi letterari: vincitrice della III edizione del premio letterario “Michele Sovente”, sezione Narrativa; vincitrice della III edizione del concorso “Troskij Café Noir” “Chi ha ucciso Renzi?” della Montegrappa Edizioni; vincitrice della I edizione del premio letterario “Note Raccontate – Beatles Day Camogli”; vincitrice del concorso nazionale di scrittura per Food Souvenir culturali “Narratè” 2015 per la città di Firenze; vincitrice della sesta edizione del concorso letterario “La parola alle donne – Le donne che si informano” del Comune di Noale (VE); Premio Speciale della Giuria alla sesta edizione del concorso “Troskij Café Noir – La Donna di Quadri” della Montegrappa Edizioni; vincitrice della prima edizione del concorso letterario ScribiAmo – Narrazioni Etrusche del MAEC di Cortona. Scrive recensioni di libri per il sito Sololibri.net.

Approfondimenti: per scoprire il Salento
Leuca è nota, oltre che per le sue ricchezze storiche e artistiche e i suoi panorami mozzafiato, anche perché è il luogo più a sud della penisola Puglia. È compresa tra punta Meliso e punta Ristola, due promontori segnalati su tutte le carte nautiche per la loro importanza. Il primo è sovrastato dal faro e, proprio per questo motivo, forse è più conosciuto rispetto al secondo che, però è l’estremo lembo meridionale del Salento. Punta Meliso, secondo una convenzione nautica, è considerato il punto di separazione tra la costa adriatica (ad est) e quella ionica (ad ovest).

In prossimità di Punta Ristola sorge la torre dell’Omomorto (o dell’Uomo Morto), una delle centinaia di torri che si trovano con regolarità lungo tutta la fascia costiera salentina. Oltre che come elementi di difesa, queste torri servivano soprattutto ad avvistare l’eventuale presenza e avvicinamento delle navi dei Turchi, che per lungo tempo hanno tentato di invadere la Terra d’Otranto. La torre dell’Uomo Morto risale al 1555 ad opera di Andrea Gonzaga, conte di Alessano.

Possiede una base tronco-conica mentre al di sopra del cordolo si sviluppa in maniera cilindrica con terrazzo dotato di merli per la postazione delle artiglierie. Viene comunemente assegnata al genere delle torri “a martello”, ma rispetto a queste presenta la peculiarità che al posto della cannoneria, alla base, si trova una porta. La denominazione “Uomo Morto” è dovuta ad alcune ossa umane ritrovate al suo interno. La parte superiore è crollata, ne rimane solo la muratura esterna. Già sul finire del secolo XVII la torre era abbandonata, a seguito del crollo delle murature nord.

* La grafica della cover è a cura di Dora Foti Sciavaliere