“American Horror Story” – “Asylum”: il sottile confine tra il bene e il male

Fin dalla sua uscita nel 2012, era chiaro che la seconda stagione di “American Horror Story”, “Asylum”, non avrebbe deluso gli spettatori.

Si tratta forse della stagione più spaventosa della serie, ricca di colpi di scena, caratterizzata da atmosfere cupe, angoscianti e demoniache.

La storia prende avvio al presente, con una coppia di neo sposi amanti dell’horror in visita all’ormai abbandonato manicomio criminale di Briarcliff.

Le prime scene fungono da espediente narrativo per la presentazione del posto che farà da cornice agli eventi. Infatti, dopo questa breve introduzione, la narrazione si sposta in un tempo passato, nel 1964.

Il filo rosso che connette le due epoche storiche è il serial killer degli anni ’60, Bloody Face, imitato nel 2012 da un individuo misterioso, di cui solo alla fine si scoprirà l’identità.

Protagonisti indiscussi delle vicende sono Lana Winters (Sarah Paulson), una giornalista che vuole tentare la fortuna facendo un reportage sui metodi brutali utilizzati dalle donne e dagli uomini di chiesa gestori del manicomio criminale di Briarcliff; Kit Walker (Evan Peters), per qualche oscuro motivo oggetto di studi da parte degli alieni, viene rinchiuso in manicomio con l’accusa di essere Bloody Face e di aver ucciso la moglie; suor Jude (Jessica Lange), la direttrice del manicomio, dopo una vita di sregolatezze segnata da un drammatico avvenimento, decide di prendere i voti; Suor Mary Eunice (interpretata da una Lily Rabe in stato di grazia), una dolce e giovane suora che verrà posseduta dal demonio; il dottor Oliver Thredson (Zachary Quinto), psichiatra e perito nel caso di Kit Walker; il dottor Arthur Arden (James Cromwell), medico nazista fuggito dalla Germania ed emigrato in America sotto falso nome, esegue esperimenti atroci e disumani sui pazienti di Briarcliff ed è innamorato in segreto della candida Suor Mary Eunice.

Altri personaggi apparentemente secondari, ma in realtà estremamente affascinanti e degni di nota, sono, a mio avviso, Pepper (Naomi Grossman), una donna colpita da microcefalia e accusata di aver ucciso il suo nipotino, il figlio di sua sorella; e l’Angelo della Morte (Fances Conroy), che con un bacio porta via coloro che invocano il suo intervento.

In particolare, ritengo che Pepper sia la figura che meglio di tutte incarna una tematica ricorrente in “American Horror Story – Asylum”: l’ingiustizia di una macchina che punisce chi non ha colpe per ciò che è, anime pure e innocenti incapaci di difendersi, accusate di crimini che spesso non hanno commesso, solo perché rappresentano un peso per le proprie famiglie e per la società corrotta. Un sistema malato che punisce l’omosessualità (come avviene nel caso di Lana Winters) e non accetta che un nero e un bianco si possano amare (come nel caso di Kit Walker e sua moglie).

Altra questione di estrema attualità affrontata dalla seconda stagione è la sanità mentale (proprio ieri, il 10 ottobre, si celebrava in tutto il mondo la Giornata mondiale della salute mentale) e la brutalità dei trattamenti riservati ai pazienti che, invece di essere curati, finivano per subire maltrattamenti che li portavano all’ulteriore deterioramento delle proprie condizioni mentali e psichiche.

Ma il tema costante e permeante l’intera vicenda è quello del dualismo, delle maschere, dell’apparenza ingannevole e del sottile confine tra il bene e il male, tra la pazzia e la sanità. La spiccata profondità, l’imprescindibile elemento horror e il brillante cast, rendono “American Horror Story – Asylum” una delle stagioni meglio riuscite della serie.

I mostri sono tutti umani. Tu sei un mostro. (Suor Jude)

Liliana Passiatore