“American Horror Story – Cult”: il vero orrore è accanto a noi

Il male è a un passo da noi e diventa palpabile in “American Horror Story – Cult”. In questa settima stagione, totalmente diversa dalle precedenti, la realtà supera la fantasia. Si indaga l’orrore non da un punto di vista sovrannaturale ma dal punto di vista umano, ci si concentra su quanto di marcio ristagna nella mente degli uomini e su quante idee e su quanti sentimenti negativi di odio e distruzione certi “leader” politici abbiano il potere di far attecchire nell’anima dei cittadini.

Il tutto trova la sua contestualizzazione negli Stati Uniti d’America di Donald Trump. La narrazione prende avvio con l’agguerrita campagna elettorale per la carica di Presidente degli Stati Uniti d’America, che vedeva scontrarsi Hilary Clinton e Donald Trump e con il risultato che in quella notte del novembre 2016 sconvolse non solo gli USA, ma il mondo intero.

Sulla scena iniziano a muoversi fin da subito i due protagonisti di questa stagione, Kai (Evan Peters) e Ally (Sarah Paulson), due mondi opposti che danno il volto a due diversi modi di vivere e pensare.
Kai è il capo della setta intorno a cui ruotano le vicende. È un uomo solo, omofobo, razzista, misogino, sociopatico, fanatico di Trump. Ally è una imprenditrice realizzata, con una moglie, un figlio, impegnata nella compagna elettorale a sostegno di Hilary Clinton. Venuta a conoscenza della sconfitta di quest’ultima, le sue numerose e già presenti fobie si aggravano a dismisura. La donna sembra soffrire di manie di persecuzione e allucinazioni, è terrorizzata dai buchi e dai clown, tra cui “Twisty”, uno dei villain di “Freak Show”, divenuto leggenda metropolitana in “Cult”.

I due attori feticcio di Rhyan Murphy portano in campo due performance diametralmente opposte. Delude Sarah Paulson, che non dà alla sua Ally la carica incisiva che meritava come rappresentante della lotta al sessismo e alle discriminazioni di ogni genere, facendola risultare banale, poco forte e determinata come sarebbe dovuta essere. Stupisce invece Evan Peters, che con un’interpretazione strabiliante – indubbiamente la sua migliore nella serie – forgia alla perfezione il suo Kai come il male in persona, tutto ciò che di negativo dilaga nel mondo attuale, uno psicopatico portatore di odio e negatività.

“Cult”, cogliendo a pieno il disagio in cui versa la società attuale, indaga con crudo realismo i sentimenti più oscuri e bestiali che si insinuano nella psiche umana. Evidenzia quanto siano suggestionabili gli uomini, anche quelli da cui non ce lo si aspetterebbe, e di quanto siano portati a compiere azioni avulse da ogni logica se trascinati da un folle ipnotizzatore, in questo caso da Kai, trasposizione narrativa di Trump e di tutti i nazionalisti che, strumentalizzando e facendo leva sulle paure e sulla disperazione del popolo, impiantano convinzioni sbagliate nelle menti dei più, pur di raggiungere i loro ignobili scopi.

“Se spaventi abbastanza le persone, raderanno il mondo al suolo!” (Kai Anderson)

“Vi sbagliavate. A questo mondo c’è qualcosa di gran lunga più pericoloso di un uomo umiliato: una donna arrabbiata.” (Ally Mayfair-Richards)

Liliana Passiatore