Chi scrive si racconta: intervista ad Annibale Gagliani – “Romanzo Caporale”

Annibale Gagliani è una giovane giornalista e scrittore pugliese che con il suo ultimo lavoro, Romanzo Caporale (IQdB Edizioni), vuole denunciare la disumana filiera del fenomeno migratorio dall’Africa attraverso il Mediterraneo per approdare sulle nostre coste e poi essere vittime di nuove ingiustizie e delle catene del caporalato. Dopo aver recensito il suo romanzo, ecco l’intervista all’autore.

  • Si sente che “Romanzo Caporale” è un libro scritto “di pancia e con il cuore” per l’intensità con cui affronti le problematiche tirate in ballo nella narrazione, per il pathos che si avverte già nel premessa, ma vorrei partire con una domanda a bruciapelo e forse anche un po’ pungente, rispetto all’impressione che mi è rimasta addosso quando ho concluso la lettura del tuo libro: non pensi ci sia un’esasperazione dei toni, e a volte anche dei fatti? Mi spiego meglio, la Puglia, e ancor più il Salento, al di là di qualche dinamica isolata, è considerata (anche storicamente) “terra di accoglienza”, però ne tratteggi un ritratto non certo lusinghiero. È così che vedi la tua terra, poco umana e solidale, ripiegata su se stessa e ingiusta?

    La Puglia è una terra di luci ed ombre, come del resto lo è l’Italia tutta. Nel libro ci sono differenti contatti solidali tra gente umile pugliese e il protagonista, senza contare la citazione della cooperazione internazionale “Gli amici di Marsabit” di don Donato Panna. In Puglia, come in gran parte dell’Italia esiste però il caporalato, perpetrato spesso da imprenditori della filiera “regolare”, e si è generata, come in tutto il Paese, un’intolleranza guidata da movimenti politici nei confronti dello straniero. Lei parla di fenomeni isolati, dovrebbe fare una passeggiata per le strade della Regione nella quotidianità e non solo sui contorni turistici delle spiagge. Nei bar, nelle scuole, nelle piazze, sui social, si respira un’aria inconcepibile. La Puglia è terra di accoglienza? Certo, nel libro personaggi come don Donato, Domenica, Padre A, Barbara e Irenelo dimostrano chiaramente, come del resto la citazione della nave Vlora. In merito alla sua osservazione dei tratti poco plausibili delle vicende del protagonista le dico semplicemente che la figura del giovane keniano è fortemente simbolica e cerca di dimostrare come un colonialismo mai finito da parte dei grandi Paesi occidentali e un cattivo sistema di inclusione dello straniero rischiano di generare il caos. Finzione? Mi sono basato su storie reali di ragazzi africani incontrati in questi anni, che per quanto possa sembrare incredibile, hanno evoluzioni ancora più cruente di quelle del protagonista. Il linguaggio è sensazionalistico? La scelta è costruita sulla mente del lettore medio, che ama essere ammaliato come nell’effetto di una droga. In questo caso, però, non ci sono effetti collaterali, ma umanitari.
  • Nonostante la giovane età, hai a tuo carico una serie di esperienze professionali non indifferenti, tra le altre quella di giornalista, e come tu stesso dichiari nella premessa, un grosso contributo e l’input per scrivere “Romanzo Caporale” è proprio un lavoro d’inchiesta che stavi seguendo – ma che non ha trovato concretizzazione – e altre esperienze affini, quindi c’è un lavoro di documentazione sul campo e soprattutto la voce dei protagonisti del fenomeno su cui indagavi, pertanto mi domandavo se tutti gli episodi inseriti siano fatti reali – o meno – riconfenzionati nella finzione narrativa per dare unità. Mi ha lasciato soprattutto perplessa il riferimento ad alcuni fatti, che potremmo inserire nella cronaca, che riguardano delle violenze aggressioni a Lecce e Otranto, di cui non ho mai sentito parlare né ho trovato tracce, e quindi è nata la curiosità in proposito.

    I fatti di cronaca inseriti nel testo sono accaduti in tutta Italia e rielaborati per offrire uno sfondo storico alla vicenda del protagonista. Una storia nella storia. La Puglia, in questo caso, è un topos d’appoggio, è evidente che la cronaca citata è ispirata a fatti accaduti in tutto il Paese. Questo è un lavoro tra il reale, il plausibile e la finzione, bisogna interpretarlo con questa chiave di lettura. Se lei vuole leggere la notizia fedele del fatto di cronaca citato può consultare le agenzie più attinenti, mentre se vuole capire l’involuzione surreale di un Paese in un determinato periodo storico a causa dell’ignoranza funzionale scatenatasi nel popolo italiano, osservandone le conseguenze, può leggere questo libro.
  • Da giornalista, e credo per tua esperienza personale, anche per quello che racconti attraverso il personaggio di Irene, quanto pensi che certe tematiche siano osteggiate nella loro messa in evidenza o addirittura insabbiate?

    I media in Italia al 99% non sono liberi di fare delle inchieste al massimo delle proprie possibilità e di raccontare la verità sui fatti cruciali del nostro Paese. Ma per fortuna esistono dei buoni blog, che rimangono tali fino a quando non sono al soldo di fondazioni o partiti, e i libri degli intellettuali liberi, l’unica salvezza per il futuro.
  • Molte sono le donne con cui si relaziona il tuo “Alì dagli occhi azzurri” – rapporti di diversa natura –, ma non si può fare a meno di notare, soprattutto con la poetica lettera che si può leggere sul finire del romanzo, che lo stesso protagonista nel ripercorrere la sua vita senta la centralità di queste figure (viene perfino messo da padre Don D, che tanto importante era stato per lui), perfino la Letteratura è immagine declinata in effetti al femminile. Non mi pare ci sia casualità in questo, ma qual è il messaggio che vorresti far passare?

    Nelle vicende del protagonista le donne della sua vita rappresentano la fonte di crescita spirituale e psicofisica nel tortuoso percorso. Un’àncora di salvezza all’interno delle bizzarre oscenità vissute, ma altresì un modello da imitare in termini di sensibilità e lotta silenziosa. Il messaggio che voglio far passare è quello che a volte i modelli di cui abbiamo bisogno per crescere sono a un palmo del nostro naso e quasi sempre sono al femminile. La terra è donna, la donna è madre, l’universo si regge sulle sofferenze del genere femminile. Ciò non è plausibile o sensazionalistico: è la realtà.
  • E vorrei concludere, domandandoti quale sia l’aspettativa che hai per “Romanzo Caporale”? E finora quale sono stati i riscontri?

    Partiamo dai riscontri: mi consegneranno il Premio Pulitzer il 30 febbraio prossimo. L’aspettativa che ho è quella di poter sopprimere ogni forma di ignoranza germogliata nel nostro Paese a seguito di stereotipi ridicoli insinuandomi in qualsiasi forma di lettore: dal Papa, passando per Giorgia Meloni fino ad arrivare all’intervistatrice.

Sara Foti Sciavaliere

S.Foti Sciavaliere, Romanzo Caporale di Annibale Gagliani – Recensione, in AgorArt, 21 gennaio 2020