Abbiamo recentemente pubblicato la recensione su “Elda, vite di magnifici perdenti”, romanzo di Maria Adele Cipolla, poliedrica professionista del mondo dell’arte – già illustratrice e costumista – si affaccia al mondo della letteratura (almeno così pensavo). In un’intervista ho voluto approfondire direttamente con l’autrice il percorso che l’ha condotta a “Elda, vite di magnifici perdenti”, ma anche qualche altra curiosità.
–Nasci illustratrice e dal tuo blog è evidente che è un’arte che ti accompagna costantemente, quando ti sei accorta della scrittura come mezzo espressivo alternativo all’immagino?
In realtà è stato il contrario, nella mia carriera scolastica ho avuto molta dimestichezza con la scrittura mentre sentivo il bisogno di esplorare il mio lato artistico, mortificato dai miei genitori che mi imposero il liceo classico. Avevo difficoltà con le lingue antiche ma grande familiarità con la letteratura, la storia e la filosofia, tanto che agli esami di maturità presi il massimo dei voti nonostante una carriera tentennante, grazie al tema e a una tesina sul rapporto fra politica e cultura che lasciò spiazzati i membri della commissione. Il mio professore di letteratura insisté affinché mi iscrivessi a Lettere, ma io volevo ancora esplorare il mio secondo lato e mi iscrissi all’ISIA di Firenze, Accademia di Design. Poi ho avuto il rimpianto per la vocazione letteraria non approfondita.
Ho in seguito lavorato in teatro come costumista e scenografa, con la scrittura che covava in fondo al cuore, utilizzandola per dirimere questioni sociali cittadine che si erano arenate nelle pastoie politiche (ad esempio con il pamphlet “Vivi Villa Trabia”). Quando qualche anno dopo la mia artrite reumatoide mi ha bloccato il braccio destro per più di un anno, per non impazzire ho deciso di scrivere a tempo pieno, utilizzando un programma di dettatura vocale in alternativa alla tastiera. Solo di recente ho capito che disegno e scrittura possono collaborare nella redazione di un romanzo illustrato.
- Cosa ha ispirato il tuo “Elda, vite di magnifici perdenti”?
Ritornando al periodo della menomazione al braccio, mi ritrovai con l’interfaccia di Word deserta, e così decisi di riprendere quella tesina della maturità per trasferirla in digitale. Il risultato fu che già alla seconda pagina avevo in mente un romanzo che vedeva tutti i componenti della sinistra italiana come membri di una famiglia, in cui ci si vuol bene e si litiga. Avevo molto da attingere dal contesto sociale in cui è vissuta la mia famiglia: nessun personaggio di Elda è reale bensì verosimile.
–“Vite di magnifici perdenti” è sicuramente curioso la scelta di questa titolo, con questo accostamento quasi da ossimoro. Puoi spiegarlo, per chi ancora non ha letto il tuo romanzo?
Ripercorrendo nel romanzo la storia del Partito Comunista Italiano, provavo dolore per le innumerevoli volte in cui la vittoria elettorale, sfiorata per un soffio,non veniva mai raggiunta, sembrava una maledizione o un complotto della CIA. Riflettendoci, capì invece che questa era stata una fortuna, perché se il PCI avesse vinto avremmo probabilmente avuto un colpo di stato come in Grecia o in Cile, con me e la mia famiglia deportati in uno stadio. La posizione geografica dell’Italia, al centro dei due blocchi della guerra fredda, era troppo critica perché il mondo occidentale potesse permettersi uno sbilanciamento. Credo che i primi a non volere questa vittoria fossero gli stessi dirigenti comunisti, anche se non l’avrebbero mai confessato e credo che se da un lato temessero la CIA, dall’altro temevano pure l’alleato sovietico.
In questa romantica condizione di perdenti succedeva però un miracolo, quella cosa che Enrico Berlinguer chiamava “la via italiana al socialismo”: un lungo periodo di riforme democratiche nel welfare e nei diritti civili, permesse da quel blocco di partiti seduti a sinistra dell’arco parlamentare (il PCI, i gruppi alla sua sinistra e anche il partito radicale, che però non amavo molto). Un’opposizione costruttiva, in continuo dialogo con i partiti di governo, profondamente contaminata dal mondo della cultura. Provando a trasformare in personaggi ognuna delle anime di quella sinistra,ho ottenuto un gruppo di persone affascinanti, speculative, autocritiche, profonde, apparentemente perdenti ma estremamente preziose. Ho capito che non sempre sia necessario vincere,piuttosto riuscire a incidere nella vita sociale, ecco l’ossimoro dei “magnifici perdenti”.
–Che tipo di lettrice sei?
Ho iniziato presto e quando ancora non sapevo leggere era mia nonna Eleda (molto evocata nel romanzo) a farlo ad alta voce per me. Amavo Rodari e Andersen, ma fu “Piccole Donne” divorato a dieci anni a segnare una svolta. Tre anni dopo iniziavo a leggere Hemingway, poi Camus, Sartre, Simone de Beauvoir,Pavese, Simenon, Virginia Woolf e Catherine Mansfield; anche un po’ di teatro con Shakespeare, Ionesco, Garcia Lorca, Brecht e Sartre, di cui “Le mani sporche” mi aprì una breccia sul dramma umano delle controrivoluzioni. In seguito ho affrontato a blocchi le varie correnti dell’Ottocento europeo: Russia, Francia, Inghilterra, Germania, paesi scandinavi. Sicuramente ometto qualcosa ma credo che le scelte letterarie di gioventù siano state molto determinanti, poi ho continuato a leggere seguendo il passaparola o rileggendo con maggiore consapevolezza i titoli dei miei primi anni. Ci sono anche romanzi che lascio a metà senza sentirmi in colpa, questa è una libertà che mi concedo solo da pochi anni.
–Illustratrice e scrittrice, hai pensato alla graphic novel? Che opinione hai su questo genere?
Pur amando Crepax e gli altri autori degli esordi della rivista Linus, non mi ritengo capace di produrre un fumetto. Ammiro chi sa farlo ma non riuscirei a distorcere lo spazio così come abilmente sanno fare i fumettisti; è sicuramente un mio limite, ma ho bisogno delle regole della prospettiva per organizzare lo spazio. Mi sento più portata verso il romanzo illustrato, genere forse non molto di moda. Ci sono arrivata ispirandomi alle pubblicazioni a puntate dell’Ottocento e ricordando la mia prima esperienza con “Piccole donne”, anche se in quella edizione l’ambientazione storica delle illustrazioni era molto approssimativa, forse già allora si faceva strada il mio desiderio di diventare scenografa e costumista.
–E salutandoci e ringraziando per la tua disponibilità a rispondere, ci sono altri progetti in cantiere?
C’è un secondo romanzo che sarà pubblicato in primavera da un coraggioso editore palermitano, posso solo dire che è ambientato nel 1965, poi c’è un terzo romanzo ambientato negli anni ottanta, ancora alla sua prima stesura, ha bisogno di decantare qualche mese prima di essere ripreso. Decisamente preferisco narrare epoche già storicizzate.
Sara Foti Sciavaliere
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- S.Foti Sciavaliere, “Elda, vite di magnifici perdenti” di Maria Adele Cipolla – Recensione, in agorart.net, 13 settembre 2020.