Un’intrigante thriller storico, “La foresta invisibile” di Maria Elisabetta Giudici (Castelvecchi ediore), fa viaggiare il lettore attraverso l’Europa in oltre un secolo di storia, tenuti uniti da uno straordinario gioiello in corallo, che passando di mano in mano, segnerà il destino di molti, anche gravemente. Dopo averlo recensito per AgorART, vi propongo l’intervista rilasciata dall’autrice.
–Cosa l’ha ispirata a scrivere questo suo secondo romanzo?
Ho sempre pensato agli oggetti come serbatoi di storie. Gli oggetti passano di mano in mano e camminano nel tempo e assistono agli eventi della vita. Per questo come protagonista assoluto del romanzo ho scelto una collana, ma di corallo, un materiale vivo fatto di miliardi di microscopici polipi che costruiscono foreste invisibili in fondo al mare.
–Al corallo si riferisce il titolo ed è di corallo il monile che fa da collante a tutta la trama, inoltre ha dichiarato “Il corallo è stato spettatore di gran parte della mia vita”, sembra abbia voluto in un cero senso omaggiarlo con questo romanzo. Può raccontare ai nostri lettori il suo legame con questo “materiale marino”?
Il corallo è sempre con me da quando sono bambina: fu mio padre a regalarmi prima un piccolo braccialetto di corallo rosso e poi degli orecchini con due gocce di corallo pendenti. E poi due anni fa ho avuto in regalo una collana di corallo…non così preziosa come quella del romanzo, ma talmente gradita che la porto sempre al collo.
–Scrive nel romanzo come gli oggetti possano avere un’anima, le è mai capitato di imbattersi in qualcosa di simile?
Per me ogni oggetto ha un’anima: conserva segreti, se li porta dietro nel tempo, è custode di ricordi, di storie, amori, dolori e felicità, ed è capace di trasmettere il passato al futuro. Un ruolo incredibilmente affascinante.
–È un romanzo denso di riferimenti storici, descrizioni di luoghi e ricca di quei piccoli dettagli che rendono tutto assolutamente credibile e verosimile: quale tipo di lavoro è stato necessario per disporre di un così importante bagaglio di informazioni a cui attingere nella narrazione?
Il lavoro è enorme ed è frutto di una ricerca quasi ossessiva di informazioni, notizie storiche, eventi. Ma la grande difficoltà è inserire nella Storia con la esse maiuscola l’immaginazione del possibile: questo richiede un’attenzione maniacale nell’accostare personaggi immaginari a quelli reali, che devono essere in perfetta coerenza con la cultura e i sentimenti dell’epoca, con i luoghi e l’ambiente in cui si muovono.
–Qual è stata la maggiore difficoltà incontrata nel delineare l’intreccio della storia?
Le difficoltà maggiori sono due, l’inizio e la fine della storia. I miei due romanzi, oltre ad essere storici sono anche thriller, dunque la narrazione deve portare il lettore a un crescendo di tensione per poi arrivare al sollievo della fine. È come quando tratteniamo il respiro fino all’estremo e poi lasciamo andare tutta l’aria che abbiamo dentro.
–Cosa c’è di Maria Elisabetta Giudici in “La foresta invisibile”?
Nel romanzo di me non c’è niente, ma c’è tutto. Non c’è autobiografia se per essa si intende l’aver narrato di me stessa o di parti della mia vita, ma certamente dentro c’è tutto ciò che penso, ci sono i miei sentimenti, i miei sguardi, il mio modo di pensare e di sentire.
–C’è già l’idea per un prossimo romanzo?
Il prossimo romanzo è quasi pronto, sono alle correzioni finali. Si viaggerà in Asia in mezzo a storie di carovane, di nomadi, di aquile, di deserti spietati, di amicizie e… di spie.
Sara Foti Sciavaliere