#ChiscriveSiracconta: intervista a Ornella Albanese – “Il bastardo di Taras”

Un nuovo romance storico di Ornella Albanese, per la collana I Romanzi Mondadori, “Il bastardo di Taras”. Una narrazione che affonda le radici nel mito e scava nella storia di un arcaico Salento, mescolando con sapienza passioni, suspence, mistero e colpi scena.
Ne abbiamo parlato con l’autrice di origine salentina in questa intervista rilasciata per AgorArt.

Un’ambientazione, e soprattutto un’epoca, inusuale tra i romance storici più diffusi ma anche rispetto alla tua precedente produzione, che di solito si muove tra Medioevo e Ottocento. Come mai questa scelta?

Mi piace ripetere che quando scrivo non devo mai annoiarmi, perciò cercare ambientazioni insolite risponde a questo criterio. Scrivere di un periodo così antico, il V secolo a.C. è stata una specie di sfida dalle mille suggestioni. Come rendere, per esempio, i pensieri della protagonista, vissuta in un piccolo villaggio della Messapia, in modo che fossero modernamente complessi ma allo stesso tempo risentissero dell’ingenuità di un popolo così antico? Io ho provato a farla pensare e parlare utilizzando molte similitudini che sono diminuite man mano che la giovane Ellis entrava in contatto con la civiltà più articolata dei Greci.

Come da te stessa accennato nelle note al libro, poche sono le attestazioni storiche sui Messapi del Salento, che tipo di lavoro di ricerca hai seguito? Quali fonti hai usato?

Ho letto tutto quello che ho trovato, sia cartaceo sia digitale, ma come hai detto le attestazioni storiche sono poche e sempre le stesse. A me non interessava poi tanto la precisione cronologica, anche perché tutto è solo uno sfondo alla storia d’amore e di odio dei protagonisti. Mi interessava di più la proposta di certi temi: le mura, il vasellame, il rito della sepoltura, la lavorazione dei metalli, tutto messo a confronto con la più avanzata Taranto, i cui segreti Ellis vuole carpire. Gli ori di Taranto, per esempio, mi hanno dato uno spunto interessante. I villaggi messapici subiranno l’influenza della città greca e quell’influenza parte proprio da Ellis, che guarda sempre al futuro.

Da dove è nata l’idea della trama?

Ho cominciato a scrivere senza avere idee precise. Mi piaceva solo il tema dell’ostaggio, molto frequente nell’antichità, ma questa volta in ostaggio non va il figlio maschio del re sconfitto, ma la figlia, la giovane Ellis, e mi è sembrata una innovazione molto intrigante. Un’altra idea era quella di riprendere l’antico mito, che narra della fondazione di Taranto per mano dei guerrieri bastardi di Sparta, e da lì anche il titolo. Il resto del romanzo si è aggregato intorno a queste due idee.

Difficoltà e vantaggi nell’improntare una narrazione con un contesto storico preciso ma piuttosto lacunoso?

Solo vantaggi, devo ammettere. Quando ci sono poche testimonianze, l’autore lascia briglia sciolta alla fantasia senza paura di incorrere in trasgressioni evidenti. All’interno di quei punti fermi di cui ho già parlato, l’intreccio si muove in libertà.

In ordine di pubblicazione questo è il terzo romanzo che ambienti in Puglia, è un caso o un richiamo più forte che senti dalla tua terra d’origine?

Ne sono di più, e comunque non è un caso. La Puglia è una terra dalle mille civiltà, luogo di passaggio e di approdo, una ricca miniera a cui attingere. Volevo una storia che raccontasse il contrasto stridente tra due civiltà diverse in uno spazio contenuto, una più avanzata e l’altra appena più primitiva. Due civiltà che si rispecchiassero nei caratteri dei due protagonisti, Ellis e Alexios. Non ho dovuto cercare molto, l’antica Messapia, contrapposta alla raffinata Taranto, mi è sembrata perfetta.

(a cura di Sara Foti Sciavaliere)