#ChiscriveSiracconta: Intervista ad Anna Cantagallo – “Arazzo familiare”

“Arazzo familiare”, edito da Castelvecchi, è il nuovo romanzo dell’autrice romana Anna Cantagallo. Si tratta di una saga al femminile ricca di colpi di scena e intriganti segreti, conosciamo qualche retroscena in quest’intervista rilasciata per AgorART.


Cosa l’ha ispirata nella scelta del soggetto di “Arazzo familiare”?

Volevo comunicare le miei riflessioni riguardo alla consapevolezza della donna d’oggi, nella convinzione che ogni conquista, sociale e personale che impatti nella vita di ognuno, abbia la sua genealogia. Sono andata indietro nel tempo per descrivere la vita di tre donne del Novecento che si confrontano con le due guerre mondiali e il ‘68. In quelle situazioni eccezionali, per la prima volta, la donna è stata chiamata ad uscire di casa. Nella Grande Guerra lo ha fatto per sostituire nei lavori gli uomini impegnati al fronte, durante la Seconda guerra mondiale per procurarsi il cibo per sopravvivere alla fame, ma anche per aiutare la Resistenza come staffetta. Infine, durante la rivoluzione studentesca è scesa in piazza a protestare con i compagni. In ognuno di questi lunghi periodi la donna ha iniziato a conoscere se stessa scoprendo, quasi con stupore, di avere un valore come individuo oltre che come donna di casa. Le protagoniste mostreranno, con le loro scelte, di aver iniziato un percorso verso la consapevolezza da lasciare in eredità alla donna d’oggi.

C’è qualche elemento autobiografico nel romanzo?

Alcuni elementi che sono riferibili alla mia vita personale sono stati utili per creare la storia familiare delle tre donne. Ad esempio, ho descritto la casa di Roma, in cui ho abitato da giovane, come ambiente per collocarvi due delle protagoniste. Per descrivere i tanti oggetti, simboli del periodo storico trattato, ho ripescato nei ricordi lontani. Mi commuove ancora avere tra le mani la tabacchiera d’oro di mio nonno, quella che faccio appartenere al Mastro Evaristi, come sfiorare la scatola di legno contenente le ricette di mia madre che, a sua volta, l’aveva ereditata dalla sua. L’elemento autobiografico riguarda il mio bagaglio emozionale che ho messo a disposizione di alcuni personaggi, come pure anche vicende vissute in prima persona. Ho assistito alle cariche della Polizia in piazza della Minerva a Roma durante il ’68; ero presente, spaventata e inorridita, mentre precipitava la panca di legno dal terzo piano della facoltà di Giurisprudenza su gli studenti inermi. Questi episodi li faccio vivere alla terza donna della saga. Fanno parte del patrimonio familiare alcuni episodi sussurrati dalle cugine più grandi, rimasti nei miei ricordi di bambina come racconti straordinari e fonte di ispirazione per creare le storie. Inoltre, per vestire “i panni” di alcuni personaggi, mi sono rivolta direttamente alle fotografie in bianco e nero di parenti prossimi o lontani.

La sfida maggiore che ha dovuto affrontare nello scrivere un’opera che si muove lungo periodi diversi, e allo stesso tempo corale, con più personaggi a muoversi nella trama?

Ho pensato a lungo all’architettura del romanzo. Per comunicare il mio pensiero sulla consapevolezza ho intuito di aver bisogno di un disegno articolato su vari piani temporali. Le azioni e le scelte delle protagoniste, espressione di questa nuova visione, dovevano “apparire” rispetto al tessuto sociale vissuto, in contrasto con gli altri protagonisti. Quando mi sono sentita pronta ho iniziato a scrivere avendo in testa la prima scena e l’ultima. Il resto è venuto quasi naturale, avvertendo una stranissima sensazione: mi sembrava che i personaggi fossero vicino a me, quasi a dirmi “Ora cosa mi farai fare?”

Siamo prossimi alla Festa delle Donne, pensa che nel 2021 la donna abbia davvero acquisito consapevolezza? e che si siano messe a frutto quelle battaglie che in passato sono state fatte per raggiungere tale consapevolezza?

Il mio impegno specifico nello scrivere Arazzo familiare è stato la ricerca delle tappe che hanno portato la donna d’oggi a questa consapevolezza. Con questo termine intendo la profonda conoscenza di sé riguardo agli aspetti globali dell’individuo. Mi riferisco in primis all’intelligenza e alla relativa esternalizzazione nel lavoro e nei rapporti sociali, ma anche all’ambizione e alla tenacia nel voler raggiungere obiettivi sempre più alti. Le donne del terzo millennio possono godere del frutto delle tante battaglie fatte dalle donne negli anni Settanta, come quella per il diritto al divorzio e all’aborto. Anche nell’ambito familiare ci sono stati degli scontri che hanno prodotti degli effetti positivi. I figli erano stati ritenuti da sempre “braccia” per il lavoro. In una famiglia numerosa ciascun figlio si sentiva obbligato a dare il suo contributo che veniva esplicitamente richiesto. Alla conclusione delle scuole elementari, ma spesso anche prima, i ragazzi venivano mandati al lavoro come apprendisti per contribuire in casa.
Ho immaginato che la donna della seconda generazione, Marilì, che ha vissuto la Seconda guerra mondiale e il dopoguerra e che si è industriata per sopravvivere alla miseria, abbia voluto evitare ai propri figli un destino predestinato di dipendenza economica dal capofamiglia. Questa donna riesce a trovare un residuo di forza di volontà, battendo i pugni, fino ad ottenere per i suoi figli il diritto a proseguire gli studi oltre la scuola primaria. Ha ben chiaro che, con lo studio che illumina la mente e un lavoro che metta in evidenza le proprie caratteristiche, si può aprire il percorso verso la consapevolezza e l’autonomia. La figlia Marigiò beneficerà di questo impegno materno riuscendo a diventare medico.

Prevede nuovi progetti di scrittura? Se sì, può anticiparci qualcosa?

Sono impegnata nello scrivere il sequel di “Arazzo familiare”. Volutamente ho lasciato dei punti irrisolti nella storia o, se vogliamo riferirci alla metafora dell’arazzo, dei fili sospesi già dalla prima pagina. Questi fili in parte si annoderanno con il colpo di scena finale.
L’argomento che vorrei trattare nel sequel riguarda il dilemma che si trova ad affrontare la donna moderna davanti alla scelta tra l’autonomia e gli affetti.

Sara Foti Sciavaliere