Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer – Recensione

È finalmente arrivato il periodo dell’anno dedicato alle serie horror. E quale miglior occasione, se non questa, per parlarvi di quella più discussa del momento: “Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer”. La creatura di Ryan Murphy e Ian Brennan, ideatori anche di “Glee”, è stata rilasciata da Netflix lo scorso 21 settembre e ha scalato in pochissimo tempo la classifica delle serie più viste sulla piattaforma.


Questa miniserie di dieci episodi appassionerà sicuramente gli amanti del true crime.
Ambientato tra gli anni ’60 e i primi anni ’90 del secolo scorso, il prodotto è incentrato sulla storia del noto e controverso serial killer di Milwaukee, Jeffrey Dahmer (Evan Peters).


La serie apre una squarcio realisticamente brutale e spiazzante nella vita e nella mente di un bambino problematico e infelice, cresciuto in una famiglia disfunzionale e pressoché assente. Un bambino divenuto mostro.


Le atmosfere dark, le parole e soprattutto le musiche guidano lo spettatore in questo viaggio introspettivo del terrore, suscitando sensazioni spiazzanti di fronte alla bestialità di ogni singola tappa.


Sulle note di “Please, don’t go” si staglia la tragedia psicologica di Dahmer e la violenza disumana e immonda riversata sulle sue povere vittime, di quelle accertate diciassette ragazzi con un’età compresa tra i quattordici e i trentuno anni.


Il cannibale di Milwaukee puntava i più deboli, gli ultimi, i dimenticati.
Aspra è la critica sociale che emerge dalla narrazione.
Attraverso la “mano” e la voce di Glenda Cleveland (Niecy Nash), la vicina di casa dell’assassino, affiora un altro grande subdolo orrore: il razzismo e l’omofobia delle forze dell’ordine, specchio di una società nella quale il “diverso” viene discriminato e ignorato anche di fronte all’evidenza, anche di fronte alle urla disperate d’aiuto.


Una società in cui il male e il crimine, se commesso dai privilegiati e dai potenti, non trova giustizia.
La domanda più ricorrente è sempre la stessa: perché Jeffrey Dahmer non è stato fermato subito?


È inaccettabile che per così tanto tempo nessuno si sia accorto di nulla, che nessuno sia intervenuto nonostante le palesi ambiguità e i suoi preoccupanti precedenti penali.


Un’altra assurdità di questa vicenda, che la serie condanna duramente, è il circo mediatico generato dalla spettacolarizzazione del dolore, a seguito dell’incarcerazione del serial killer. Dahmer riceveva lettere di elogio e soldi dai “fan” mentre era detenuto.

A lui è stata dedicata anche una serie di fumetti basati sulla sua storia e una maschera di Halloween.
Paradossalmente la serie è stata accusata proprio di questo, ossia di portare lo spettatore a empatizzare con la figura dell’assassino, ponendo in secondo piano le vittime.


Lo stesso Evan Peters, che ha interpretato Dahmer magistralmente, ha rilasciato un’intervista in cui ha dichiarato che quello di Jeffrey è stato il ruolo più complesso della sua intera carriera.


La serie ha fatto il suo egregiamente; è poi responsabilità di chi guarda cogliere le sfumature e non cadere nell’assurdità di giustificare le atrocità di un efferato serial killer.


Sicuramente una persona anche lui. Un essere umano i cui demoni hanno però preso il sopravvento, portandolo in una spirale di genesi del male nella quale l’uomo viene meno e ciò che resta è soltanto il mostro.

“Non credo che tutti debbano avere un sogno. Almeno non le persone come me.” – Jeffrey Dahmer

“Forse la cosa migliore che possiamo fare è continuare a fingere di essere forti. E alla fine, un giorno, forse dimenticheremo che stiamo fingendo.” – Glenda Cleveland

Liliana Passiatore