Hannah Arendt: la filosofa ebrea scampata ai lager in un film di Margarethe von Trotta

Nelle sale il 27 e il 28 gennaio, per la Giornata della Memoria, Hannah Arendt. Storia del coraggio di una donna e un’intellettuale sfuggita ai nazisti nel 1940 e del suo lavoro giornalistico al processo di Gerusalemme, autrice di La banalità del male. Interpreti Barbara Sukowa e Axel Milberg.

La trama
New York, primi anni ’60. La filosofa tedesca Hannah Arendt, scampata anni prima a un campo di sterminio e fuggita dall’Europa nazista, è un’affermata docente all’Università: gli studenti la adorano, i colleghi la stimano, il marito e gli amici – ebrei e non – la venerano.

Hannah Arendt era la fervida sostenitrice della Vita activa (come il titolo di una delle sue opere), ma anche la donna capace di grandi slanci affettivi, verso suo marito – il poeta e filosofo Heinrich Büchler – e i suoi cari, questa la protagonista del film della regista Von Trotta.

Nel 1961 la Arendt si trova a Gerusalemme, nella veste di reporter per raccontare ai lettori del New Yorker il processo Eichmann, e compie uno dei gesti più difficile della storia: ascoltare per capire. Capire chi e perché ha commesso un massacro. Siamo al processo del secolo, in cui il funzionario delle SS si trova nel neonato Stato di Israele, al cospetto dei sopravvissuti.

Gli articoli della Arendt, infatti, fanno scandalo: riportano le parole di Adolf Eichmann, che dichiarava di avere solamente eseguito degli ordini. Eccola qui, la banalità del male, che poi diventerà il titolo del libro più noto della filosofa.

Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, La banalità del male: Eichman a Gerusalemme (1963), emerge la controversa teoria per cui proprio l’assenza di radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali (non persone) si trasformino in autentici agenti del male.

L’ebreo Kurt Blumefeld, uno dei suoi più cari amici, non riesce a perdonarla per quegli scritti, mentre lo scandalo si diffonde in Israele e negli USA. La presidenza della sua Università è fortemente contrariata, la stampa la attacca violentemente, ma il marito, la sua devota allieva tedesca Lotte Köhler e molti studenti approvano e sostengono l’essenza, apparentemente paradossale, del suo pensiero.

Il processo Eichmann prossimamente nelle librerie
La casa editrice Mattioli 1885, invece, sta lavorando da due anni alla traduzione italiana degli atti del processo Eichmann, che verranno poi pubblicati in un volume previsto per la fine dell’anno, ma tra il 31 gennaio e il 4 febbraio presenta invece il libro Processo Eichmann. Cinquanta chili d’oro. Gli ebrei, i nazisti, gli italiani, a cura di Livio Crescenzi. Il volume riporta il così detto “capitolo italiano” del processo, con la testimonianza di Hulda Cassuto Campagnano.

Di seguito il calendario delle presentazioni:
– Venerdì 31 gennaio, ore 18 alla Libreria Feltrinelli, Via Manzoni 12, Milano. Saranno presente Livio Crescenzi, Anna Foa, Silvia Zamagni e David Bidussa (direttore della Biblioteca della Fondazione Feltrinelli).

– Lunedì 3 febbraio, ore 18.00, presentazione del volume ed inaugurazione del nuovo bookshop di Mattioli1885 presso la sede di Mattioli1885, Fidenza. Con la presenza di Livio Crescenzi, Anna Foa e le autorità locali.

– Lunedì 3 febbraio, ore 21, Palazzo dei Congressi – Sala delle Cariatidi di Salsomaggiore Terme – presentazione aperta al pubblico introdotta dal Prof. Fiorenzo Sicuri, che ha curato per Mattioli1885 il volume L’ebreo nella soffitta. Sarà presente il sindaco di Salsomaggiore Filippo Fritelli.

– Martedì 4 febbraio, ore 10.15, Teatro Magnani di Fidenza – presentazione per le scuole del territorio.

Margarethe von Trotta, regista di donne “non-comuni”
Già in passato la von Trotta ha realizzato film riguardanti donne “eccezionali” e dissidenti: Rosa L., del 1985, ritratto della leader marxista Rosa Luxemurg, interpretata dalla stessa Sukova, e Vision, del 2009, rievocazione di Hildegard von Bingen, mistica cristiana del XII secolo.

In questo caso si tratta di un biopic che, delineando il personaggio “privato”, una donna energica e controversa, tanto prolifica nel riflettere quanto indolente nello scrivere, che tra un tiro di sigaretta e l’altro elaborava tesi filosofiche mentre al telefono con il direttore del giornale esercitava la dialettica per giustificare il ritardo nell’invio dei pezzi: «I filosofi non rispettano mai le consegne!», aveva tuonato la caporedattrice del New Yorker. Emerge però dalla pellicola della von Trotta, a dispetto della sua fama da burbera, una Arendt ironica e a tratti sentimentale.

L’approccio della regista, pur serio, documentato e scenograficamente preciso, risulta spesso didattico. Non mancano nel film Hannah Arendt aspetti flemmatici, dialoghi troppo prolungati, faticosi e pomposi. Ne emerge l’isolamento della protagonista e la sua peculiare fisicità – nella meditazione, nell’eloquio e nell’assiduità a fumare -, ma anche la rivendicazione ostinata della libertà di pensiero e la coerenza logica, non priva di una certa arroganza intellettuale. Da segnalare anche l’uso intelligente di footage, con immagine autentiche del processo ad Eichman.
Trailer_Hannah Arendt (en – sub it)