Il mio nome è Nessuno di Valerio Massimo Manfredi: l’epos di Ulisse

Giovedì 11 aprile, presso la chiesa di San Francesco della Scarpa, l’archeologo, docente universitario e scrittore di grande successo, Valerio Massimo Manfredi, ha presentato il suo ultimo romanzo Il mio nome è Nessuno (Mondadori).

Prima parte di un dittico – sebbene “L’oracolo”, scritto molti anni fa potrebbe essere considerato la terza parte di una trilogia –, l’opera racconta l’inizio dell’epos omerico. Tutti, chi più chi meno, conoscono le imprese di Ulisse: la geniale idea del cavallo di legno, che pone fine alla guerra di Troia; il lungo e periglioso viaggio di ritorno verso l’adorata Itaca. Ma prima cos’è successo? Come il nome di un fanciullo cresciuto in una piccola isola è diventato imperituro? Manfredi si pone queste domande e, con Il mio nome è Nessuno, risponde in maniera egregia. Odisseo, l’immortale eroe della guerra di Ilio, racconta se stesso sin dall’infanzia.

Gli episodi e i personaggi, nuovi e noti, esposti nel loro divenire, vanno di pari passo con la crescita dell’itacense, illustrano gli antefatti, spiegano le ragioni di tanti miti. Traendo spunto dalle numerosissime leggende che lo vedono protagonista, Manfredi ci svela avvenimenti e personalità di cui si ignorava l’esistenza, «ci regala la viva emozione di scoprire un intero universo brulicante di uomini, donne, imprese gloriose o sventurate». La novità dell’opera non consiste solo in quanto appena detto, ma anche nel desiderio, da parte dell’autore, di volersi distaccare dalle rielaborazioni e rivisitazioni operate sul guerriero greco. Manfredi, infatti, opta per una soluzione ben precisa. Dovendo dare coerenza all’opera, fra le varie opportunità offerte dal mito di Odisseo, sceglie il personaggio originale, conservando le sue caratteristiche e coerenza – sempre compatibilmente con l’evoluzione dell’uomo. Manfredi racconta storie «sott’intese», mai sentite, che mostrano la trasformazione del giovane figlio dell’argonauta Laerte, nel protagonista dell’epopea tramandataci. E racconta questi avvenimenti con tale naturalezza da renderli unici, veri.

In fin dei conti la guerra di Troia, secondo l’archeologo, si è svolta nell’età del bronzo e può essere considerata la I guerra mondiale, che vede opposti il mondo occidentale contro quello asiatico. Che vede il dispendio di energie e risorse umane indicibili e che, forse, può essere considerata la vera causa del crollo del mondo miceneo. Al loro ritorno gli eroi di guerra trovano le proprie terre devastate, le ricchezze dissipate, sono cacciati e umiliati, perché «alla fine il vincitore perde quanto il vinto». L’epos omerico racconta ciò che può essere successo realmente.
Per gli appassionati lettori di romanzi storici, e non solo, presenziare a un incontro con Manfredi è emozionante, istruttivo e disarmante (principalmente per la sua vasta cultura), nello stesso tempo. Le sue conoscenze illimitate sottolineano la sua abilità nel passare da un argomento all’altro, da un mito all’altro, nello spiegare la differenza tra mito ed epos rendendo tutto comprensibile, semplice e coinvolgente.

La presenza a Lecce dello scrittore bolognese è già sufficiente a offrire una serata interessante ed emozionante, tuttavia si tocca l’apice quando, con la sua voce profonda e vibrante, legge alcuni brani del suo romanzo. Le sue parole riecheggiano leggere e penetranti proiettando gli ascoltatori in un passato e in un luogo lontani, tuttavia conosciuti come pochi.

A tal proposito, intenso è l’incontro tra Elena di Sparta e Ulisse:

«Incontrai Elena il giorno dopo, verso sera. Stavo seduto su un sasso vicino al recinto dei cavalli, ammirato dei movimenti di quei magnifici animali che a Itaca non potevamo allevare. M’incantava la loro imponente complessione, la curva poderosa del collo, l’armonia dei movimenti, la fierezza dell’incedere, i grandi occhi umidi, la criniera che ondeggiava nel vento. A un tratto la vidi avvicinarsi e cercai di non guardarla. Cominciavo a pensare che chi la guardasse ne rimanesse prigioniero e dovesse essere infelice per tutta la vita.
“Tu sei il principe Odysseo di Itaca, vero? “
“Sì” risposi sena voltarmi, e “tu sei Elena di Sparta.”
“lo sai che il re Teseo di Atene mi ha chiesto in sposa? È quel guerriero laggiù sul cavallo nero.”
“Lo vedo.”
“Ma è troppo vecchio per me.”
“Colui che sfidò l’uomo-toro nel Labirinto non sarà mai vecchio. Tu che cosa hai fatto nella vita? Niente. Sei soltanto una bella bambina e non è certo merito tuo.”
Sorrise anziché arrabbiarsi: “E ti sembra poco?”
“No. Non mi sembra poco ma…”
“Mi chiederesti in sposa, se potessi?!
“No.”
Mi si parò dinanzi allora e mi fissò con durezza: “Perché mi odi? È forse il tuo nome che lo impone?”
Balzai in piedi e risposi acceso in volto: “Il mio nome non m’impone nulla e non ti odio… Non ti chiederei in sposa perché…”
“Perché?” insistette.
“Perché quando gli dei avranno finito di plasmarti tu sarai troppo bella per amare qualcuno che non sia te stessa. E perciò credo che sarai la rovina di molti uomini.”
Gli occhi di Elena sembrarono trascolorare in amaranto, mentre i raggi del sole scendevano dietro le vette del Taigeto. Un velo di malinconia si distese sul suo volto.
“Queste cose accadono solo per volere degli dei” rispose, “Noi siamo soltanto dei mortali e non abbiamo alcun potere. Non sono cattiva, Odysseo, e se tu potessi restare vorrei parlare con te ogni giorno.”
“Di che cosa?”
“Del sole e della notte, dell’odio e dell’amore, della vita e della morte. Nei tuoi occhi c’è una luce che non ho mai visto, nemmeno in quelli dei miei fratelli che sono bellissimi. Invidio la sposa che condurrai nel talamo, che piegherai sul letto con la forza dell’amore, principe di Itaca. Addio.”
Si dissolse nella luce del tramonto.»

Secondo lo scrittore bolognese, a livello di racconto narrato ed epico, dopo Omero nessuno è riuscito a inventare nulla di altrettanto avvincente e intrigante, per questo, probabilmente, l’eroe greco rimane tutt’ora un “mito”. Il suo fascino consiste principalmente nella sua umanità, nel suo insaziabile desiderio di conoscenza, nel suo eroismo, nel suo terrore della morte, nel suo essere con difetti, dubbi, debolezze e miserie tipiche degli esseri umani.

– Valerio Massimo Manfredi, “Il mio nome è Nessuno”, Mondadori 2013.

Emanuela Boccassini