Intervista ad Anna Joy French, vincitrice del contest “Salento in Love – I mari e le torri”

Determinato il racconto vincitore del primo contest “Salento in Love”, in attesa di preparare l’antologia, dedichiamo questo spazio all’autrice di Torre del Serpe, Anna Joy French con un ‘intervista per conoscerla meglio. Riproponiamo inoltre in questa pagina il suo racconto e il booktrailer realizzato ad hoc (come previsto dal regolamento per i vincitori, insieme alla cover illustrata che accompagna questo post).

Intervista
Innanzitutto, grazie Anna per aver partecipato al contest e complimenti per il tuo racconto Torre del Serpe, che ha trovato un riscontro assai favorevole sia nel comitato di lettura che nel sondaggio.

Inizio da una curiosità, giusto per farmi un po’ i fatti i tuoi. So che la tua firma è una pseudonimo, alcune scrittrice fanno questa scelta e non ti chiederò il tuo motivo personale (mi riservo magari la domanda per un’altra volta), invece mi chiedevo perché, se è lecito saperlo, la scelta “Joy French”? Lo possiamo dire che invece Anna è il tuo vero nome, no?
Certo che possiamo dirlo! Anzi, ti rivelerò di più. La scelta del mio pseudonimo nasce da un gioco. Ho semplicemente anglicizzato il mio nome da sposata (Anna Gioiosi), poi ho unito French in occasione del mio romanzo sul periodo normanno.

Quando è iniziato il cammino di scrittrice? E dove speri ti porti questa strada?
Il mio cammino da scrittrice è iniziato per caso. Ho lavorato per anni come ricercatrice e archeologa. Per evadere dalla quotidianità, tra un articolo per un convegno e un testo scientifico, mi perdevo a fantasticare su possibili romanzi ispirati ai periodi storici che studiavo. Un giorno ho iniziato a metterli su carta e il resto è venuto da sé. Per quanto riguarda le mie aspettative future, preferisco non sognare troppo a occhi aperti. Fa parte del mio carattere: meglio tenere i piedi ben saldi per terra e impegnarsi concretamente. Se la stoffa c’è, i risultati arrivano da soli.

Il tuo racconto Torre del Serpe è ambientato ad Otranto, scenario già presente nel tuo romance Mondadori, Cuore normanno. Perché questa attenzione particolare per Otranto?
Per me è una città magica, ha il potere di rigenerarmi lo spirito ogni volta che torno a visitarla. Il mare, la misteriosa cattedrale, il bianco accecante delle facciate illuminate dal sole. C’è un coinvolgimento emozionale, si ha la sensazione che il tempo scorra più lentamente che altrove.
– Se dovessi scegliere una location alternativa, sempre nel Salento, dove sposteresti la tua narrazione?
Non saprei. Forse Lecce, una bellissima città ricca di storia e tradizioni.

Forse è una cattiveria, ma posso chiederti se hai letto gli altri racconti in gara? Se sì, aveva una tua preferenza?
Mi sono piaciuti tutti. E, se è possibile, non vorrei esprimere preferenze!

D’accordo, ti capiamo. E se invece potessi suggerire tu un tema per la prossima edizione di “Salento in Love”, cosa proporresti?
Proporrei un tema legato alle leggende salentine. Ce ne sono tantissime , l’ho scoperto facendo ricerche per il mio racconto.

Tenendo lo sguardo al domani, quali sono i prossimi progetti di Anna Joy French?
Purtroppo la scrittura non è la mia occupazione principale. Questo non vuol dire che non abbia progetti, solo che i tempi di realizzazione sono un po’ lunghi. Comunque posso dirti che un romanzo è già in procinto di essere consegnato a un editore. Sarà il sequel di Cuore normanno. Incrocia le dita per me!

(intervista a cura di Sara Foti Sciavaliere)

Torre del Serpe
di Anna Joy French

Nel tempo in cui gli dei vivevano insieme agli uomini e i miti prendevano forma nelle notti prive di luna, un serpente marino emerse dalle acque e avvolse la torre del faro di Otranto tra le sue spire. Insinuando la testa dentro un’apertura, raggiunse la lampada che segnava la rotta ai marinai e ne bevve tutto l’olio. Da allora la costruzione prese il nome di Torre del Serpe.

Otranto, anno del signore 1479

Il cielo aveva lo stesso colore dei fiori di malva e sottili nuvole lattiginose sembravano divertirsi a corromperne la perfezione. Verso oriente, il mare, avvolto nella sua quieta immobilità, si tingeva dei primi riflessi dell’alba.

Lo sguardo di Irene si perse all’orizzonte e si posò sul profilo ondulato e scuro delle lontane montagne albanesi. Mosse qualche passo in avanti e un’onda lambì le esili caviglie. Al contatto con l’acqua fredda si circondò il corpo con le braccia, invasa da un gelo improvviso. Pregò Iddio che quella scossa fredda la facesse rinsavire. Guardò con disappunto le babbucce inzuppate d’acqua, ma i suoi piedi si rifiutavano di obbedire, continuavano a muoversi verso il mare. Si immerse fino alle ginocchia. L’abito di velluto turchese si aprì come una ninfea e ondeggiò morbido sull’acqua. Irene piegò il busto in avanti e riuscì a intravedere, sul velo increspato della superficie, il riflesso del suo volto. Socchiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. Finalmente era arrivata. Voleva solo specchiarsi nel mare. Non in un prezioso specchio d’argento, non in un catino colmo d’acqua profumata. Solo nel mare: limpido, sincero, autentico. Voleva chiedere al quel magico scudo liquido quale sarebbe stato il suo destino. Avrebbe preso marito? Per quanti anni ancora avrebbe potuto gioire della vicinanza dei propri cari? Sarebbe rimasta per sempre a Otranto o forse gli Ottomani avrebbero portato morte e distruzione anche nella sua città?

Chinò il capo ed esaminò il suo volto pallido, gli occhi grandi e scuri, i lunghi capelli corvini sciolti sulle spalle in una morbida e voluttuosa cascata.

— Chi mi aiuterà? — chiese timorosa al leggero sciacquio delle onde. Attese alcuni istanti col fiato sospeso, poi riprese a parlare, quasi che sentisse necessaria una spiegazione più precisa.
— La mia casa è una torre, la più alta di Otranto. Mio padre è il governatore della città e ha molti soldati al suo servizio. Ma ho paura! Ho visto i Turchi sterminare interi villaggi, ho visto compiere orrori atroci in nome di un falso dio. E poi l’incubo di questa notte: centinaia di corpi senza testa, le strade imbrattate di sangue. E quelle donne gravide, uccise dopo orribili torture. Quei bambini…

Irene cessò di parlare all’improvviso, sopraffatta da un dolore vischioso che le rendeva difficile anche respirare. Il tormento aveva assunto una consistenza quasi corporea. A fatica riacquistò il controllo. È solo un incubo!, continuava a ripetersi con il volto nascosto tra le mani, senza riuscire a scacciare le orrende immagini di morte che si agitavano nella sua mente. Quando alzò lo sguardo verso la linea dell’orizzonte, il timore di scorgere una nave turca la fece boccheggiare.

Ma non c’era nulla oltre l’azzurro intenso, fusione perfetta tra mare e cielo. D’improvviso sorrise. Fu una risata liberatoria, quasi un preludio di follia. Il vento divenne caldo e le accarezzò il volto, regalandole un piacevole tepore. Ripensò al suo sogno, questa volta senza afflizione. Si voltò verso terra e osservò la grande torre. I suoi occhi divennero vivi, guizzanti come le onde del mare. La sommità era diroccata, ma la struttura non sembrava mostrare segni di cedimento.

Irene sollevò il petto in un anelito di speranza.
— Serpe, vieni da me! — Parole insensate, frutto dell’estrema disperazione. Quasi un delirio.
Allargò le braccia e con gli occhi chiusi lanciò un ultimo grido verso il mare. Attese che l’eco si perdesse tra le onde, quindi si voltò verso la terraferma e a piccoli passi uscì lentamente dall’acqua.

Molte ore più tardi, quando l’esile scia del tramonto accarezzava la terra, Irene si affacciò dalla finestra della sua stanza e posò le mani sulla pietra fredda del davanzale. Lasciò che la brezza le sfiorasse il viso e le sfumature violette del cielo le colmassero le iridi con la propria luminosità.
“ Il Serpe ci protegge. Ora ti insegno come si fa per chiamarlo” le aveva detto una volta sua madre. Poi aveva allargato le braccia e urlando parole incomprensibili verso il mare, si era esibita in una danza frenetica, primordiale. Aveva danzato e cantato a piedi nudi sulla battigia, sfidando le onde incappucciate di schiuma. Era accaduto qualche anno prima, in un giorno come quello, col mare azzurro e l’orizzonte limpido.
“Puoi farlo anche tu, ma nessuno ti deve vedere, perché è una magarìa”.
Irene sorrise, si voltò verso l’interno della sua stanza e iniziò a danzare. Lo sguardo divenne febbricitante, i passi si fecero più rapidi. Sembrava posseduta, eppure non aveva più paura. Ora ne era certa: il Serpe avrebbe protetto la sua amata città.

Il quattordici agosto 1480 i Turchi, guidati da Gedik Ahmet Pascià, sterminarono gli abitanti di Otranto per aver rifiutato di convertirsi all’Islam, dopo la conquista della loro città. Secondo un altro racconto, in una notte dell’anno precedente il terribile massacro, il Serpe fece visita alla vecchia torre e bevve tutto l’olio del faro. In quell’occasione gli Ottomani, non avendo punti di riferimento per poter attraccare, saccheggiarono la vicina Brindisi e Otranto fu risparmiata. Spesso le leggende, così come i popoli, si mescolano, si spostano, si incontrano e, unendosi, si confondono, dando vita a nuove storie. In esse gli uomini ripongono le proprie speranze, il desiderio inattuabile di cambiare il corso di eventi già accaduti o di sovvertire i piani che il destino ha riservato loro.

L’autrice – Anna Joy French
Vive in un paesino dell’Italia centrale immerso nel verde. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice e archeologa, ha deciso di lasciare la carriera accademica per dedicarsi alla famiglia. Ama il mare e la storia medievale , soprattutto quella dell’Italia meridionale (sarà un caso che si è appassionata alla storia del Salento?). Si è avvicinata per divertimento alla scrittura creativa e appena può intraprende viaggi nel Mediterraneo alla ricerca di nuovi spunti per le sue storie. Cuore normanno (I Romanzi Mondadori), ambientato tra Otranto e Bari, è il suo romanzo d’esordio.

* La cover è stata illustrata da Dora Foti Sciavaliere