Intervista – Domande “sComode” a Gianluca Secco

Negli store digitali “DanzaFerma”, il secondo lavoro in studio del cantautore Gianluca Secco, rivelazione del Premio Tenco 2016. Conosciamolo anche noi, in questa rivista che ha rilasciato per AgorArt.

-Come e perché nasce il disco “DanzaFerma”?

Buongiorno Giacomo. Dunque, “DanzaFerma” nasce circa 3 anni fa dopo l’incontro con il pianista e
compositore Antonio Arcieri (con cui lavoro da 4 anni negli spettacoli dal vivo).
Quel che ci ha unito fin da subito è stata l’idea di lasciarci trascinare in un mondo musicale in cui i miei testi e le loro ambientazioni fossero il punto centrale dei brani. In sostanza andiamo a interpretare i testi sia vocalmente che musicalmente, seguendo lo stile musicale che il testo stesso richiama.

-A cosa si deve il titolo dell’album?

Credo che tutto parta da Immobile, il mio primo lavoro solista. In quel disco cercai di fermare le mie idee in una monolitica immobilità. In “DanzaFerma” le ho lasciate muoversi ed esplorare altre possibilità interpretative, sempre tenendole a bada. Appunto, una danza di colori, musica e suggestioni, però ferma.

-Quale brano senti più tuo e perché?

Difficile risponderti, in ogni brano di tutta la mia produzione (non solo di questo disco) affronto temi che mi hanno toccato e turbato personalmente, curandone ogni minimo dettaglio, sia musicale che testuale. Sono una sorta di interprete di me stesso, se vogliamo, e delle mie emozioni. Quindi Gianluca Secco è, allo stesso modo, lo sciamano di Sangue, il barbone di “Di Schianto”, l’amante di “Danza Ferma” o il terrorista di “Senza Velo”, per citarne alcuni.

-Cosa speri di portare al pubblico con questo disco?

Credo un buon disco, che ha bisogno di un pubblico attento, curioso e desideroso di fermarsi un momento per ascoltare, assaporare, approvare o disapprovare. Tutte azioni che richiedono tempo, quello stesso tempo che ci sta sfuggendo di mano.

-Come nasce la tua passione per la musica?

Avevo circa 7/8 anni quando iniziai a tambureggiare un po’ su ogni cosa che trovavo. Costruii una sorta di batteria con pentole, coperchi, libri e barattoli e iniziai a suonare sui vinili e sulle cassette di mio padre. All’epoca non c’erano i telefoni/computer, lo streaming, internet e spotify. Non voglio sembrare vecchio, ma nel giro di 40 anni, davvero, le cose sono cambiate parecchio. Non era così semplice arrivare alla musica. Ti dovevi arrangiare con quello che trovavi in casa, dagli zii o dal cugino, o dall’amico del fratello del compagno di scuola. E tutti erano gelosi dei propri dischi, al massimo te lo registravano su cassetta. E la cassetta dovevi portarla tu.
C’era lo Stereo, al massimo il Walkman… Ricordo che “suonavo” sui dischi di Zucchero (“Oro Incenso & Birra”), Otis Redding, Eric Clapton (“Just One Night”), Joe Cocker, Dave Brubeck, Janis Joplin. Così mio padre, ex batterista e cantante di una formazione che negli anni ’60 suonava Rythm ‘n Blues e poi divenuto Alpino, si rassegnò alla dura realtà di avere “l’erede” musicista e mi regalò una batteria. Con il tempo, mi avvicinai alla chitarra, che sempre mio padre sfoderava ad ogni festa insieme al suo fido “Canzoniere” a portata di mano. “Canzoniere” che poi abbandonava, ma solo a una certa ora e con i superstiti della festa, per darsi tutto su De Andrè e Tenco.
Infine cominciai a cercare la voce… La mia. E poi tanto suonare, sempre e comunque.

-Quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Mi influenza tutta la musica e l’arte in genere che colpisce la mia curiosità. Ho trovato molte idee
ascoltando Chopin, le sonate per pianoforte di Beethoven, Rachmaninov, il rock, il blues, il soul e il reggae degli anni ‘60/’70, tutti i nostri cantautori, Tom Waits, Nick Cave, Mark Lanegan, Diamanda Galas, Nina Simone e Miles Davis.

-Quanto i social, secondo te, possono far crescere la musica oggi?

Ma vedi, i social vivono di tempi troppo stretti, in cui è difficile approfondire. Questo concetto è totalmente all’opposto rispetto all’arte, la cultura o la musica. L’arte, la cultura e la musica, così come ogni mestiere, si sviluppano in tempi lunghi. Con cura, costanza e disciplina.
Nonostante i social ci diano l’illusione di poter vivere una vita parallela (una fiction, se vogliamo) ai fini di una reale crescita musicale, credo che siano solo un fuoco di paglia. Un po’ come convincersi di essere nato ricco perché vinci al Monopoli o credersi un grande letterato perché sei un genio dei cruciverba.

Civins