Intervista – Domande “sComode” a Gionta

È uscito lo scorso marzo il nuovo album di Antonio Francesco Daga, in arte Gionta, “Eyes of a desperate soul”, un disco vario, ricco di influenze musicali, dal reggae alla dub, dall’elettronica al cantautorato, con elementi che vanno dal pop al tribale, e dove la parola sperimentare è il fil rouge che tiene unito l’impianto compositivo. Vi proponiamo l’intervista che Gionta ha rilasciato per AgorART.

Ciao, Civins, e un saluto a tutti i lettori di AgorArt!

-Come nasce l’album “Eyes of a desperate soul”?

Quest’album parla di tutto ciò che riguarda le sensazioni interiori dell’animo umano contestualizzate nella tematica principale trattata che è il contrasto: si parla di sensazioni legate ai miei periodi di depressione; di delusioni e sentimenti legati ad alcune persone che passano nelle nostre vite e lasciano comunque qualcosa; si parla di mancanza di comunicazione interpersonale e difficoltà nell’ottenerla… ma si parla anche di dolcezza, spiritualità, mente libera e libertà d’animo più in generale. C’è spesso e volentieri contrasto anche fra musica e parole. L’idea è partita, come ogni idea musicale della mia vita, dalla mia cameretta mentre riflettevo profondamente su me stesso e sul mio percorso come persona in generale. Ho iniziato quindi a scrivere i testi. Le melodie arrivavano in testa quasi da sole. Prima della produzione di Matyah (Mattia Uldanck) le canzoni erano composte solo da parti vocali in loop che andavano a creare gli accordi, mi veniva dunque facile canticchiare e memorizzare delle melodie che suonassero discretamente assieme alle parole del testo per poi andarle a registrare con la mia loop station. Fra stesura testi, composizione, registrazione e lavori finali di mix e mastering c’è voluto più di un anno. Per registrazione, pre-produzioni, mix e master ci sono voluti quasi cinque mesi da sommare ai mesi precedenti di stesura e composizione.

-Quale brano credi che ti rappresenti di più?

Sono molto legato a Regrets, per via del suo testo e delle sensazioni che ho provato mentre la scrivevo è che tornano, vive, ogni volta che la risento. Anche “Eyes of a soul” e “Mental Age” a livello sonoro mi riportano ad un qualcosa di davvero intimo.

-Ci puoi spiegare il tuo nome d’ arte Gionta?

Gionta è semplicemente il cognome di mio padre. Il cognome che avrei dovuto avere anche io ma che per via di varie vicende particolari che alcune volte, purtroppo, accadono nella vita, non ho mai potuto avere. Mi va benissimo portare il cognome di mia madre e ne vado orgoglioso, però ho pensato che il nome d’arte fosse un modo molto romantico di “riprendermi” anche l’altro mio cognome.

-Il Nome è per te un segno di rinascita artistica?

Il nome è per me un segno di accettazione. Accettare il mio passato e prendere coscienza di chi sono. Questo processo porta a parecchie crisi di pensiero (soprattutto in questo periodo, dove le domande e le riflessioni sono davvero tanto pesanti) ma credo sia necessario per una piena comprensione e consapevolezza della mia identità. Sia a livello personale che artistico.

-Parlaci un po’ di te, come nasce la tua passione per la musica?

A mia madre piaceva sentire le musicassette. Sin da quando sono nato, in casa si ascoltavano (e tuttora si ascoltano) gli U2, band che lei ha sempre adorato. Ricordo che ascoltavo Alex Baroni, Carmen Consoli, Neri Per Caso, Frankie hi-nrg… ma anche Patty Smith o tutta la new wave anni ’80 fino ad arrivare alla musica elettronica più moderna. Fra i 12/13 anni ho iniziato invece ad esibirmi in contesti hard rock. Ricordo ancora che la primissima canzone cantata su un palco con un
pubblico davanti fu Paranoid dei Balck Sabbath conosciuti grazie al compagno di mia madre. Poi, siccome sono appassionato di serie TV, con l’arrivo della serie “Supernatural”, mi sono avvicinato agli AC/DC e da lì in poi sono arrivati anche gli Iron Maiden, i miei adorati Led Zeppelin e, ancora, tutta la corrente Glam Rock che andava dai Guns ‘n’ Roses agli Aerosmith. Non disdegnavo (e non disdegno assolutamente) Reggae, soul e funky music (ho la fortuna di suonare questo genere anche assieme a Federico Morittu, bassista che ha suonato nel mio brano “The neverending follow”. Adoro i Pearl Jam (ho un passo preso della loro “Black” tatuato sul braccio) ed ho sempre ascoltato e cantato volentieri molti brani appartenenti alla corrente grunge originaria di Seattle (Nirvana, Soundgarden, Mad Season, ecc…) e tutto ciò che ne è arrivato in seguito. Fra i miei ascolti non può mancare inoltre il cantautorato classico italiano (dal 2013 porto avanti un progetto strettamente legato alla musica cantautoriale assieme al mio amico e chitarrista Fabrizio Zara – ci siamo conosciuti alle superiori e da lì è nata un’intesa insostituibile). Negli ultimi anni mi sono invece avvicinato al Trip Hop con formazioni come Massive Attack e Alt-J (conosciuti grazie a Matyah che è poi stato fondamentale per la creazione di quest’album).

-Quali sono i tuoi progetti futuri?

I progetti futuri più immediati,augurandoci che la situazione lo permetta, riguardano l’imminente arrivo dell’estate con alcuni concerti sia nella mia Sardegna che al di fuori dell’isola con i miei progetti personali (ho un progetto di cantautorato “classico” dal nome AplusF che porto avanti sin dal 2013 assieme al chitarrista e mio amico fraterno Fabrizio Zara). Spero inoltre di riuscire ad organizzare una presentazione dal vivo vera e propria per il mio “Eyes of a desperate soul”!

Civins