“I luoghi comuni” è il primo album di Kokura – alias di Miky Marrocco, impiegato, musicista e scrittore milanese -, un artista in bilico fra indie-pop e canzone d’autore. Proviamo a conoscerlo meglio in quest’intervista rilasciata per AgorART.
-Come nasce il progetto Kokura?
Il progetto nasce dalla voglia di raccontare l’ambiente nel quale sono cresciuto: la provincia milanese. Adesso abito in città ma questi scenari sono parte del mio immaginario. Mi piace ambientare le mie storie fra i palazzi dell’hinterland, le aree industriali abbandonate, i capannoni che sorgono vicino ai raccordi delle tangenziali. Mi piace cercare il bello che si nasconde in mezzo a questi “luoghi comuni”, la pulsazione segreta dei personaggi che si muovono su questi scenari spesso decadenti. La provincia può essere malinconica, poetica, disperata e ironica; nel disco ho cercato di fotografare questi aspetti con lo sguardo consapevole di chi li ha vissuti.
-Cosa ti ha spinto a creare il tuo album “I luoghi comuni”?
La spinta è venuta proprio da queste storie di periferia che avevo già raccolto in alcuni provini che erano però ancora troppo grezzi per una pubblicazione. Così mi sono rivolto a Lele Battista, cantautore e produttore raffinatissimo al quale ho deciso di affidare i brani per renderli più eleganti e compiuti. Con mia sorpresa, Lele ha mantenuto molte delle asperità presenti nei provini e le ha valorizzate con arrangiamenti trasversali che hanno arricchito le canzoni senza tradire la loro impostazione minimale. Il quadro si è poi compiuto con l’incontro con Paolo Messere e Seahorse Recordings. Paolo è un musicista che stimo molto e mi ha fatto piacere averlo come ospite su “Tangenziale est”, la traccia più sperimentale del disco. Il suono finale è stato poi plasmato da Kikko Tronci in fase di missaggio e da Christian Alati, che si è occupato del mastering.
-Quale brano senti più tuo e perché?
Sono molto legato al brano intitolato “L’estate in Brianza”, si tratta di una ballad nella quale ho cercato di dosare malinconia e ironia, due ingredienti apparentemente inconciliabili che, in realtà, si compensano e rappresentano, per me, un connubio terapeutico. Il disco è una sorta di percorso verso la conquista di uno sguardo lucido che ti consente di accennare un sorriso anche quando sei a pezzi. Questa canzone si muove in bilico fra sarcasmo e disperazione, tratteggiando quell’atmosfera agrodolce che mi piace evocare nei miei testi.
-Come riesci a far coincidere lavoro e musica?
Chiunque abbia una passione fa di tutto per coltivarla nel suo tempo libero. Io lavoro come impiegato e questo fa parte del mio equilibrio. Del resto anche le mie canzoni descrivono situazioni che appartengono alla quotidianità. L’ufficio, la metropolitana, la sala prove, lo studio: sono tutti ambienti che appartengono alla mia realtà. Di musica difficilmente si campa ma non per questo bisogna campare senza musica. Kokura è il mio progetto solista ma bazzico volentieri altre situazioni: nel 2020, insieme agli amici Gran Zebrù, abbiamo pubblicato un EP che coniuga alternative-rock e canzone italiana; ogni tanto indosso anche il sombrero per raggiungere gli amici mariachi Los Picios.
-Puoi parlarci della scena musicale milanese, come la vivi?
Francamente non mi sento di appartenere a una scena in particolare, piuttosto sono contento di seguire e frequentare degli artisti che per me rimangono un riferimento costante. Penso a Yuri Beretta, un maestro di scrittura e interpretazione; Alberto Turra e Giorgio Mastrocola, due chitarristi incredibili; Lele Battista, che mi ha aiutato in questo progetto; Alia, che ho avuto il piacere di accompagnare sul palco; lo scrittore Roberto Bonfanti, per il quale ho sonorizzato alcuni reading; il collettivo Los Picios, che comprende dei musicisti straordinari. Come dicevo, non si tratta di una “scena” ma di persone che mi ispirano continuamente con il loro talento.
-Come nasce la tua passione per la musica? Quali sono i tuoi artisti di riferimento?
La mia passione è nata da piccolo, ascoltando i dischi che giravano per casa: i vinili di De Andrè di mia madre, una raccolta dei Beatles che ho ascoltato migliaia di volte e le cassette di Paul Simon che rubavo alle mie sorelle. Quando ho iniziato a scrivere canzoni, i miei riferimenti si sono spostati verso le formazioni della scena italiana alternativa degli anni ’90, in particolare i La Crus e i C.S.I., nei quali ho trovato l’evoluzione dei grandi cantautori. Attualmente sento la mancanza di progetti con questo spessore: sarà una questione di età, ma difficilmente trovo, negli autori della nuova scena indie, canzoni in grado di emozionarmi o sorprendermi.
-Quali sono i tuoi progetti futuri?
Mi piacerebbe portare sul palco “I luoghi comuni”, ma il periodo è decisamente poco propizio. Nel frattempo mi dedico alla divulgazione di questo lavoro e vi ringrazio molto per questo spazio che mi avete dedicato. Sto scrivendo delle nuove canzoni che potrebbero finire in un prossimo album oppure in un EP di passaggio. Con la band Gran Zebrù stiamo lavorando al nostro secondo EP che probabilmente registreremo durante l’estate. Spero davvero che nei prossimi mesi questa esistenza “virtuale” si trasformi in un lontano ricordo. Ho voglia di visitare una mostra, di ascoltare della musica dal vivo, di assaporare un po’ di bellezza fuori dalle mura di casa.
Civins