Intervista – Domande “sComode” a Stefano Bruno

È uscito a fine settembre, “Per le strade del cielo”, il disco di debutto del cantautore milanese Stefano Bruno, classe 1990 che si ispira ai grandi nomi del cantautorato, da Dalla a Modugno, cresciuto con il mito di Pink Floyd e David Bowie. Un disco intimo e allo stesso tempo sfacciatamente pop. E qui di seguito l’intervista al cantante per AgorART.

Come nasce il tuo album “Per le strade del cielo”?

Questo disco nasce senza troppe aspettative e pretese. Nasce sia per passione che da un’esigenza. Il titolo è un neologismo e nasce dal mio modo di essere con la testa fra le nuvole. E poi, dalla voglia di togliermi dei sassolini dalle scarpe. O addirittura togliermi le scarpe e ciò che mi sta stretto per sentirmi più leggero, più libero. Ho pescato anche dall’inconscio e dai miei ascolti, Battiato, Antonacci, Modugno, Space Oddity con riferimenti anche al Surrealismo, alla wanderlust e al Romanticismo.
È un’idea che ho sviluppato alla fine, quando avevo i brani e una visione completa di tutto alla fine di un processo lungo sei anni. Ma non c’è nulla di più appagante dopo tanti sacrifici.

Cosa vuoi portare al pubblico con questo disco?

È un disco autobiografico. Quindi, il vero me, in qualche modo mi presento, mi metto a nudo.
Voglio infrangere il muro che mi divide dall’esterno e accogliere le persone nel mio mondo fatto di musica, immagini e visioni, più che di parole. Veramente senza la musica, e l’arte in generale, mi sentirei uno sbandato.
Mi piacerebbe che il pubblico si lasciasse trasportare in questo mondo a misura d’uomo. Che si fermasse e si concedesse una sosta da questo continuo correre e affannarsi, per riavvicinarsi alla propria condizione umana. Giusto mezz’ora. Ascoltare sarebbe già uno step successivo. Ben oltre le aspettative.

Quale brano senti più tuo?

SCRIVILO SUL MARE. “Sono un pazzo non so dove andare, sono un pazzo che non sa parlare”. In questa frase c’è tutto.
Chiudo gli occhi, è inquietudine, l’uragano che ho dentro, alienazione, apatia, bloccarsi, non muoversi o non riuscire a fermarsi, wanderlust, maledizione, follia, poesia, incomunicabilità. Un silenzio, barriere emotive, i traumi dell’adolescenza, il buio. Faccio cose senza senso, sguardi bassi, randagi, anime.
Queste sono tutte le idee e le parole che mi sono venute in mente adesso, così di getto senza pensarci. Ognuno può vedere quello che vuole. Flusso di coscienza, parole senza senso o libere associazioni. Ogni parola pesa, agisce, corrode. E ha un suo significato nell’inconscio e nella vita di ognuno. Grazie alla musica anche un silenzio parla… ed è incredibile come le cose più assurde e contorte acquistano senso. La musica guida, suggerisce le risposte, lancia segnali e indica la via.

Parlaci un po’ di te, come nasce la tua passione per la musica?

È una passione innata. Fin da bambino cantavo all’asilo e registravo i canti di Natale e i cori su un registratore a bobine anni 60 di mia madre. Crescendo memorizzavo e fischiettavo ogni cosa che sentivo. Alle medie cantavo addirittura sui banchi quando la professoressa usciva dall’aula.
Durante l’adolescenza i miei coetanei mi prendevano in giro per la mia voce. Così anche per me diventò buffa e la trasformai in silenzio… Alzai il muro ed ebbero inizio i miei blocchi emotivi.
La mia corazza diventava sempre più spessa ma la musica trovava comunque sempre uno modo per insinuarsi e diventava sempre più insistente. Così è esplosa dopo il diploma.

Quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Sono cresciuto con la musica italiana di Battisti, Carboni, Tiziano Ferro, Antonacci. Battiato, Dalla, Pino Daniele, Modugno e De André aggiungevano alle loro canzoni qualcosa di etnico che mi piaceva e mi incuriosiva sempre di più. E poi ho sempre amato il rock in particolare nel periodo dell’adolescenza, in particolare la new wave e il britpop. Quando sentii uscire dallo stereo Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd, rimasi stregato. Per non parlare dell’ecletticità di David Bowie, di Sting o dei Beatles.

Come vedi la musica in questo contesto socio-culturale?

Ho sempre visto la musica come un ponte tra me e il mondo esterno.
Ma anche come qualcosa in grado di aggregare e di rimuovere i blocchi e le placche delle armature che ognuno ha. Qualcosa in grado di unire persone diversissime, di far nascere amicizie e relazioni umane.
In questa situazione surreale, è tutto più amplificato… Anche il disagio e la voglia di riscatto saranno ancora più evidenti in questo momento nei testi degli artisti.

Civins