Intervista – Domande “sComode” a Veronica Vitale

È da pochi giorni che il suo singolo World Travels, tratto dal disco Inside the Outsider, è in radio, così rivolgo una delle mie interviste a Veronica Vitale.

Com’è avere successo prima all’estero rispetto che in patria?
Ho sempre vissuto ogni cosa bella come fuori da una vetrina. Ero felice ma non lasciavo mai andare l’altra parte di me. Si perché vivevo immersa in una soffocante contraddizione, un dualismo interno che per quanto felice potessi mai essere, continuava a trafiggermi. In Ohio, oppure a Washington, mi ritrovavo circondata da bellezza e apprezzamenti in luoghi attraversati dalla storia della musica mondiale, conoscevano me, la mia musica e la mia storia, ma poi ad un certo punto rientravo nella mia Boscoreale, e mi ritrovavo a dover indossare il paradenti, la canottiera, i guantoni e fare a pugni con quell’atteggiamento che non perdona il merito, né il talento, quel “lo stai facendo tu, ma se l’avessi fatto io avrei fatto meglio” “non sei uscita dal quadratino della televisione italiana quindi non sei abbastanza”che ingoiavo ogni giorno insieme a quel tentativo di farmi provare un sentimento di mediocrità.

Abbiamo fatto “le spalle larghe” io ed il mio papá, camminando su e giù nella piazza del paese sempre mano per la mano e siamo sopravvissui da soli, con gli occhi di chi ne ha viste tante ed il sorriso di chi le ha superate tutte, da soli. Negli Stati Uniti ero ospite dei sindaci di diverse città, e quando invece provavo a raggiungere quelli della mia, non si faceva mai trovare nessuno, al massimo, con una stretta di mano di consolazione dicevano “Nessuno Profeta in Patria”. Io ritornavo a casa per allenarmi fisicamente e psicologicamente al peggio, per poi ripartire con la corazza forte e andare a prendermi il meglio.

I miei due mondi in collisione, mi hanno tenuta sempre a metà tra la domanda sprezzante “chi saresti tu?” e l’affermazione a 9310km di distanza “Veronica Vitale è un’artista internazionale”. Mille volte avrei voluto tirare un respiro ed adagiarmi su un’affermazione piuttosto che l’altra, ma non farlo, mi ha dato il “mordente” per andare avanti, tra una carezza sulle guance ed un bastone di ferro nei fianchi.Penso che tutti prima o poi si ritrovino a dover fare i conti con una piccola Boscoreale personale e forse tutti i cittadini del mondo hanno bisogno di una Boscoreale da cui partire.

Quanto c’è di te in quest’album?
Questo é un album di quelli che si scrive giorno dopo giorno mentre ti rimbocchi le maniche, con un morso allo stomaco, in fila ad aspettare il tuo turno sulla lunga strada verso la felicità.Io conosco ogni nota, algoritmo, ogni diagramma e vibrazione della mia musica, perché sono sempre presente “nella” mia musica cosí come la musica é sempre stata dentro di me. Tutte le cose importanti accadono solo quando sei veramente presente.“Inside the Outsider” racconta i viaggi in giro nel mondo e nel mondo che portiamo dentro, per questo doveva possedere nel DNA una caratteristica precisa: autenticitá.

Le cose finte sono vuote, non dicono niente, la mia musica invece doveva fare discorsi.Per essere autentica, dovevo aprirmi alla mia musica comedurante un operazione a cuore aperto ed in effettc’é tutto il mio cuore in quest’opera. Nel vero senso della parola! Ho registrato il battito del mio cuore al Children’s Hospital di Cincinnati e sostituito al suono della batteria di uno dei miei brani. Il mio cuore sarebbe esistito così per sempre, anche dopo la morte, vivo, tra le mani di chi ascolta.

Consideri il libro e l’album complementari o due strade differenti?
Il mio album è custodito da un Diario di Bordo che ho scritto da Seattle 2013 a Cincinnati 2017. Un Manuale dedicato all’artista indipendente, ma anche all’essere umano ed alla sua vita di tutti i giorni in cui trovare la mappa per raggiungere un’isola dove il tesoro é la nostra felicitá.Volevo poter raccontare la mia storia camminando in tutte le stanze dell’anima, siano queste cinematografichem sonore o cartacee, per questola mia avventura si divide in tre parti, disco, libro e docufilm ad episodi in 5K con Red Digital Cinema disponibile anche su YouTube.

Quale brano del disco senti più tuo e perché?
Sweet Dreamer. Il 5 Ottobre del 2016 mi sono ammalata di un’allergia alimentare rara, che fino ad allora non avevo, ero appena atterrata a Cincinnati fui ricoverata prima all’Emergency Room del Mercy Hospital di Cincinnati e dopo in altre 3 diverse strutture. Ogni giorno, per 5 giorni, la mia vita sembrava finire. Sweet Dreamer é nata il 17 Ottobre 2016, quando riuscii di nuovo a respirare come si deve, andai allo Skydeckdi Jess Lamb e Warren Harrison,“Over the Rhine”.

Presi un forte respiro, e con tutta la vita che avevo dentro registrai “Sweet Dreamer”. Anche in post produzione non volli aggiungere niente, né registrare altro. Quella voce incisa alla traccia numero 10, era la voce della mia “Rinascita”.Stavo perdendo la vita, e dentro me forse l’ho persa un centinaio di volte, ma poi sono rinata,come la luce, che forse non sembrava nemmeno tanta, ma che però si è rivelata abbastanza per sconfiggere l’oscuritá.

Nel tuo album ci sono tanti artisti stranieri di livello, con chi ti piacerebbe collaborare in Italia?
Fabrizio Moro e Tiziano Ferro. Moro perché è l’unica voce maschile italiana che potrebbe incastrarsi perfettamente con i miei spigoli, ho caratteristiche vocali identiche alle sue, ma femminili. Ferro perché… Sono la “Tarantola D’Africa“.

Civins