Intervista – Domande “sComode” ad Attilio Fontana

Attilio Fontana è in radio con il singolo “Tangolento”, il secondo estratto dall’album acustico “Sessioni Segrete”, registrato all’Ellington Club, uno dei più importanti locali live di Roma, costretto come gli altri a restare chiuso durante il lockdown. “Tangolento” è un post-it pronto a ricordarci che ogni giorno siamo invitati a scrivere la nostra vita. Ce ne parla meglio Attilio Fontana in questa intervista rilasciata per AgorART.

Come nasce il tuo nuovo disco “Sessioni Segrete”?

“Sessioni Segrete” nasce dal desiderio di riprendere il palco e farci musica vera, sincera. Così è stato, con Franco Ventura e Roberto Rocchetti in una formazione minimale abbiamo registrato un album come si faceva una volta, facendo sessioni in un club adibito a studio e registrando l’anima di ogni brano nella sua forma più nuda. Volevo fosse così, come certi bootleg che ho amato o alcuni album preziosi dove ogni suono e respiro pesano sul risultato finale, così è stato, un viaggio prezioso che intrappola per sempre un momento intimo di voce, parole e note. 

Cosa ti ha spinto a creare un disco così singolare?

Mi ha spinto il desiderio di dare nuova vita e una forma diversa ad alcune canzoni e perché sognavo un disco così. Da ragazzo avevo tutti i bootleg degli artisti che amavo, a volte alcune versioni acustiche mi emozionavano più delle originali nell’album ufficiale e comunque quando senti le canzoni nella forma originaria hanno dentro ancora più segreti perché lasciano spazio all’immaginazione. Ecco credo che sia per questo, per cercare il succo concentrato di me e regalarlo a chi ha voglia di riconoscersi e conoscersi meglio attraverso le canzoni nella loro forma più intima e nuda. 

Ci parli del nuovo estratto dal titolo “Tangolento”?

“Tangolento” è una canzone che augura di cadere in braccio alla fortuna e la scrissi per l’artista che si trova sempre nella vita ad affrontare grandi salite e discese nell’esplosione di un successo e il tentativo di costruirlo a volte facendo mille giri di vite e di mondo in questa epoca dove tutti siamo equilibristi senza certezze sul futuro credo che sia “dedicabile” a tutte le persone e ai loro desideri augurandoci di ritrovare tutti il prima possibile quell’isola rossa di felicità .

Raccontaci della tua passione per la musica.

Vengo da una famiglia di musicisti, mio padre e mia madre si innamorarono grazie alla fisarmonica, strumento che suonavano egregiamente e di professione entrambi, i miei fratelli studiavano al conservatorio quando ero piccolo e la musica suonava sempre tra le nostre mura. Io che volevo essere il ribelle negavo che mi piacesse ma poi nella mia camera imparavo canzoni a memoria o immaginavo arrangiamenti con un’orchestra che mi suonava in testa.. A quattordici anni ho cominciato a studiare la chitarra e mentre mi annoiavo su alcuni esercizi li trasformavo in canzoni  da allora praticamente fino ad oggi continua questo viaggio dal quale in fondo non ho voluto e non sono riuscito mai a scappare fino in fondo. 

Cosa ti porti dietro dall’esperienza con I Ragazzi Italiani?

Difficile dire in poche parole cosa sia stato il periodo dei “Ragazzi Italiani” sicuramente un mix incredibile di cose esplosive: un successo grandissimo in un’età giovanissima e bellissima, tantissima esperienza in studio e live, ritmi sfrenati, una grande amicizia e fratellanza alternata a discussioni e conflitti dovuti a equilibri delicatissimi tra noi e chi ci gestiva insieme a grandi e personali interessi e talmente tanti ricordi tutti insieme che è impossibile distinguerli a volte. Rimangono quei cinque ragazzi sparati su quei palchi indimenticabili dei FestivalBar in quell’epoca ancora preziosa e poco virtuale e il vederci diventare uomini, responsabili di una vita più vera e forse meno facile ma che ogni volta che si incontrano hanno sempre quegli sguardi malandrini di chi ha condiviso cose che non tutti possono capire, insomma anche di quel periodo rimane un baule di bellissimi segreti.  

Come pensi sia cambiato il mondo della musica dal tuo esordio con il gruppo ad oggi?

La musica è cambiata tantissimo, troppo per poter sintetizzare dal novanta fino ad oggi, mi affascina molto anche se soffro la troppa velocità, non ci sono più canzoni di tutti, potendo scegliere “troppo” abbiamo perso dei meccanismi per cui una canzone era di tutti, raccontava un’estate, un periodo , una storia d’amore. Oggi è l’individuo che sceglie cosa sentire e da un lato quando incontro un ragazzo giovanissimo è difficile sapere se conosce le canzoni di “tutti” che conosco anche io e io sicuramente non conosco le canzoni che sente lui nelle sue cuffie che parlano della sua maglietta o della via del suo quartiere, tutto è più grande apparentemente ma costringe la scrittura ad essere più piccola, customizzata e costretta a passare dalle cose più che dai sentimenti. Questo forse è quello che mi manca di più nelle canzoni attuali, lo status e gli oggetti sono diventati “l’essere” e i sentimenti e le loro dinamiche non ci raccontano più, stanno scomparendo dalle penne devote solo all’algoritmo.

Civins