Intervista – Domande “sComode” ai mLau

“A Queen With No Head” è il nuovo singolo di mLau, il progetto artistico di Maria Laura Ronzoni (cantautrice e performer) e di Massimo Marraccini (percussionista, batterista, compositore, arrangiatore e produttore). Ecco l’intervista che hanno rilasciato per AgorART.

Come nasce il progetto mLau?

Massimo: Il progetto mLau ha una genesi piuttosto singolare non che inaspettata. Con Maria Laura ci conosciamo da tanti anni, abbiamo avuto esperienze musicali insieme diversi anni fa, nei nostri anni dublinesi, ma poi per parecchio tempo le nostre strade si sono divise. Ci siamo incontrati di nuovo l’state scorsa ad un concerto che ero andato a fare a Viterbo. Quella sera ho presentato a Maria Laura un collega produttore di musica dance che alla fine ha proposto a Maria Laura di collaborare con lui per alcuni brani che aveva in cantiere. Maria Laura ha accettato e prima di inviare il suo lavoro a questa persona lo condivideva con me, così, in amicizia, per avere un parere. Anche perché́ entrambi sapevamo la Dance non essere affatto il suo “ambiente naturale” musicalmente. Eppure c’era magia nelle sue melodie e sempre un certo spessore nelle sue tematiche. Insomma ci cascava dentro, a mio parere, in modo eccellente e soprattutto non scontato. In quel periodo io avevo dei nuovi software con cui stavo sperimentando, che mi portavano in una certa direzione musicale decisamente elettronica. Quindi ho subito pensato di proporre a mia volta del materiale a Maria Laura, lei è rimasta colpita dalle mie composizioni ed ha iniziato subito a lavorarci sopra, scrivendo meravigliose melodie e testi spesso a sfondo culturale, comunque ricchi di contenuti; allo stesso tempo inviandomi delle sue composizioni chitarra e voce da arrangiare… così è nato il primissimo embrione di quello che poi è diventato mLau, all’inizio del 2020 durante il lockdown in cui i nostri primi 9 brani sono stati ultimati e pre prodotti a distanza. Siamo riusciti a trasformare un periodo apparentemente fermo, statico, dove tutto ciò̀ che era prima “sicuro” stava vacillando fortemente, in un momento creativo fertilissimo di cui siamo estremamente fieri. E abbiamo solo cominciato.

Maria Laura: Dal mio punto di vista, considerato il momento storico che stiamo vivendo, ho sentito l’esigenza di rispondere al dolore dentro e fuori di me. Vivevo e vivo tuttora molto male questo bollettino di guerra che si protrae da mesi. Ho iniziato a scrivere tanto ed in silenzio durante i primi mesi di lockdown nazionale perché quando sono in troppi a parlare, spiegare, commentare, sciorinare soluzioni facili e giudizi di ogni sorta, il mio istinto mi porta a cercare il silenzio. Viviamo in una società “post-truth”, in cui tutto è diventato così volubile, effimero, discutibile… inclusi i dati scientifici. Abbiamo toccato con mano la fragilità del nostro sistema sociale, economico, del pianeta inteso come delicatissimo ecosistema in pericolo, la stessa fragilità del nostro sistema psichico. Lavorando nella scuola, sentivo inoltre la responsabilità di dover riflettere insieme ai miei studenti sul senso di tutto ciò e sulle possibilità di rinascita nascoste che questa pestilenza ci stava offrendo. Forse si stava presentando l’occasione di unire le forze, di sentirci uniti nella nostra infinita piccolezza e nella lontananza a cui eravamo costretti. Abbiamo voluto cercare nell’arte, nella poesia, nel profondo della nostra piccola anima, pur sapendo che non avremmo trovato una risposta certa. Quello che è nato da questo processo creativo collettivo è stata un po’ di bellezza. Anche lei sta soffrendo ma è l’unica verità che ci sta tenendo a galla.

Come è nato “A Queen With No Head” e cosa vorreste portare al pubblico?

Maria Laura: La storia della regina senza testa è una fiaba a lieto fine che Frank Wedekind, autore tedesco di fine ‘800, inserisce nella sua opera teatrale “Risvegli di Primavera”, una vera e propria tragedia in cui un gruppo di adolescenti si confronta con temi esistenziali controversi (il sesso, dio, la morte, il sadismo, il suicidio, l’aborto, l’omosessualità, l’ipocrisia dell’educazione, la censura). Lo scontro con il giudizio ipocrita del mondo degli adulti conduce la storia ad un fatidico epilogo. All’interno di questa tragedia, Wedekind inserisce una favola, apparentemente banale nella sua semplicità. I livelli di lettura però, come sappiamo, possono essere molteplici e la favola, così ricca di simboli e di una sua poeticità intrinseca, ha in sé il grande potere di curare l’anima, di sanare le lacerazioni, di risolvere i conflitti. È la storia di una “mutilazione” che sarà funzionale a ristabilire l’armonia. Mi sono ispirata a questa “storia nella storia” per scrivere il testo e la musica di A Queen With No Head che ho cantato e suonato dal vivo insieme ad altri brani originali in occasione di una rappresentazione teatrale sull’opera di Wedekind, diretta da Rolando Macrini. Andammo in scena nel 2013. A distanza di anni, grazie all’incontro con Massimo e all’idea del nuovo progetto che si stava delineando, ho tirato fuori dal cassetto la mia regina per affidarla alle sue cure. Avevo già un’idea di suono che volevo sperimentare e che avrebbe potuto combinarsi bene con il sapore rinascimentale che avevo dato all’arrangiamento delle voci sia nell’intro che a metà brano. In realtà il risultato ha superato le aspettative. La combinazione di rinascimento, folk ed elettronica sembrava essere il giusto tributo al genio di Wedekind, precursore delle avanguardie artistiche a venire. Poi abbiamo lavorato alla creazione del video e la storia si è impreziosita grazie al contributo di Daniela Cono, che ha curato le animazioni grafiche e alle illustrazioni di Alessandra Fierro.

Massimo: La regina senza testa è uno di quei brani composti da Maria Laura, se non erro nel 2013, commissionato da Margherita Vestri per la rappresentazione teatrale Risvegli di primavera di Frank Wedekind, per la regia di Rolando Macrini. Maria Laura mi aveva mandato la struttura armonica con la melodia ed il testo, chitarra e voce, ed io l’ho arrangiata cercando di dargli una veste rinascimentale, un vibe “di corte”, seppur connotando il brano nei giorni moderni attraverso appunto l’uso dell’elettronica. Stiamo cercando di portare il nostro pubblico in un mondo magico, surreale, fiabesco, onirico. In un momento così drammatico a livello globale è certamente ciò̀ di cui la gente ha bisogno. Inoltre è lo stesso Wedekind, non che Freud, ad investire le fiabe ed i racconti della capacità di curare l’anima e risolvere i conflitti sociali ed interiori dell’uomo, portandolo ad un più̀ alto livello emotivo e di coscienza. La fiaba della Regina senza testa viene appunto inserita all’interno della tragedia di Wedekind con questa finalità̀.

Parlateci di voi, della vostra passione per la musica.

Massimo: Ho iniziato a suonare alla tenera età̀ di 10 anni, in maniera del tutto istintiva; non a caso ho scelto la batteria e percussioni come strumento principale; è avvenuto in maniera del tutto naturale. Da allora non ho mai smesso di suonare, di studiare, cercando di fare le esperienze più̀ disparate musicalmente sempre al fine di migliorare me stesso. Sono diplomato al conservatorio in strumenti a percussione, poi ho studiato anche in America un periodo. Ho suonato con innumerevoli gruppi di tutti i generi e ho sempre avuto la passione per lo studio di registrazione oltre che per il palco. In Irlanda sono stato primo percussionista dell’orchestra della televisione di stato e ho avuto modo di collaborare con artisti come The Corrs, Westlife, Boyzone, Roger Daltrey, e molti altri imparando tantissimo su vari livelli. La musica per me è un flusso vitale, energetico, innalzamento spirituale, non che un bene per l’umanità̀.

Maria Laura: La mia è una passione antica che nasce dalle favole che mi raccontava e che mi cantava mia nonna. Mio padre è stato il mio primo maestro di chitarra. Lui era un musicista autodidatta, con un approccio istintivo ed un grande talento per la musica e la pittura. Ricordo i pomeriggi passati insieme a lui a cantare le canzoni di Fabrizio de André, avrò avuto 4 o 5 anni. A 12 anni è arrivata la mia prima chitarra classica, una vecchia Eco che suonava mia nonna… insieme ad una cassetta di Bob Dylan, The Freewheelin’ (negli anni ’70 e ’80, lo ricordo ai più giovani, ascoltavamo la musica dalle cassette e dai vinili…). Un incontro importante è stato quello con la mia prof di musica in prima media, Antonella Bernardi. Mi ascoltò cantare e mi fece entrare nel suo coro. Lei mi ha introdotto agli studi classici, contribuendo a farmi sviluppare un buon orecchio armonico e l’ossessione per l’intonazione. Poi sono arrivati i Pink Floyd, i Led Zeppelin e i Velvet Underground. La stessa passione mi ha portato in Irlanda, a Dublino nel 2001, dove ho vissuto per dieci anni. Lì si è concretizzata la mia formazione artistica. Ho iniziato a suonare come artista di strada e poi un po’ ovunque, nei locali, pub, festival e nel frattempo mi sono diplomata in canto.

Credete che l’esperienza all’estero abbia dato una marcia in più al vostro progetto?

Maria Laura: Tanto per cominciare proprio in Irlanda ho conosciuto Massimo. Le nostre storie si sono intrecciate nel corso degli anni fino ad arrivare a mLau e forse è proprio grazie al vissuto comune che si è creata questa forte intesa musicale anche a distanza di anni. Devo molto all’Irlanda e alla sua gente. Credo che il popolo irlandese abbia acquisito nel tempo una certa capacità di elaborazione della sofferenza interiore, dei confini dell’esistenza umana e del meraviglioso che ne deriva come nessun altro paese al mondo e questo, unitamente al carattere di un popolo che abita una piccola isola “fuori porta”, verde e piena di boschi, laghi e pozzanghere, ha prodotto diversi fenomeni letterari e musicali nelle cui storie mi sono immersa e dalle quali ancora amo farmi cullare. In Irlanda poi, prima di incontrare tanti artisti di talento con cui ho avuto il piacere e l’onore di collaborare, ho conosciuto “la strada”. La strada è stata la maestra più importante, mi ha insegnato che la tecnica non basta a diventare bravi sul serio. L’onestà nei confronti dell’arte, la nudità, quello che secondo me rende un artista autentico, comincia fuori da un’accademia. E poi ci sono gli incontri, le persone speciali che ti portano in luoghi speciali dove conosci e ascolti gente più brava di te. L’Irlanda è una culla di talenti, persone anche di successo che vivono la musica in modo molto spontaneo. Persone che hanno la grandezza di rimanere semplici ed umili. Questo confronto mi ha arricchito indiscutibilmente, come persona e come artista.

Massimo: Penso non c’è esperienza che non arricchisca il bagaglio emotivo di una persona, e se questa persona è un artista, automaticamente la sua arte sarà̀ influenzata da quell’esperienza.

Quali sono i vostri artisti di riferimento?

Massimo: Credo di aver ascoltato così tanta musica da trovarmi un po’ in difficoltà a rispondere a questa domanda: sono tanti. Vorrei però precisare che il processo creativo per me esula dal cercare di far riferimento a questo o quell’ artista; per lo meno ci provo. Semplicemente faccio ciò̀ che mi passa per la testa ed il cuore, e non penso a chi potrei somigliare, o se sto somigliando a qualcuno. Certo è che alcuni artisti ti sono entrati talmente dentro, o fanno parte in modo talmente forte dell’immaginario collettivo che automaticamente li ritrovi qua e là nelle composizioni di chiunque. Penso sia normale. Il segreto sta nel fare ciò̀ che a te viene spontaneo, senza credere di essere speciale o innovativo, e tantomeno l’imitazione di qualcun altro.
Maria Laura: Ho ascoltato e ascolto tanta musica, da Monteverdi al jazz, ad autori e band più sperimentali. Mi piace anche trascorrere lunghi periodi ad immergermi solo nei grandi poeti che hanno fatto la storia della musica d’autore come Dylan, Cohen, De André. Poi periodi di silenzio totale di cui ho bisogno per scrivere. Poi c’è il mondo sublime delle grandi donne della musica tra cui Billie Holiday, Joni Mitchell, Kate Bush, Bjork… sono le mie preferite. Non credo però di voler fare necessariamente riferimento a loro durante il processo creativo anche se è inevitabile che il lavoro di un artista sia il prodotto di tante cose, dal vissuto personale agli artisti che ha amato. Il processo creativo però, per essere veramente creativo deve essere autentico, libero, spontaneo, ispirato all’unico desiderio di compiacere la bellezza pura e la propria anima… non le logiche di mercato.

Civins