Montem Saracenum di Antonio Elia: un racconto per Salento in Love

E tra i racconti del contest “Salento in Love -I mari e le torri” si affaccia anche una penna maschile e un salentino di nascita che quei luoghi che racconti – Santa Cesarea e la sua costa – li ha vissuti. Oggi pubblichiamo sulle pagine del nostro blog Montem Saracenum di Antonio Elia. E ricordiamo di continuare a inviare i vostri racconti: la scadenza del contest è il 15 giugno 2016.

Montem Saracenum
di Antonio Elia

Per raggiungere Santa Cesarea seguirono il percorso della litoranea. Sulla strada non si era ancora riversato il traffico impaziente dei vacanzieri, il panorama si apriva nel suo splendore cangiante dopo ogni curva disegnata sulle anse della scogliera, e dopo ogni curva lo stupore di Adriana reclamava una fermata per gustarne appieno la vista. Fecero solo due soste prima di arrivare a destinazione: la prima a Porto Badisco, uno sguardo dall’alto su un incredibile porto naturale dove si narra sia sbarcato il profugo Enea; la seconda alla torre Minervino costruita su uno sperone di roccia a picco sul mare dal quale si può godere una vista spettacolare su un lungo tratto di costa.

A Santa Cesarea, seduti di fronte al mare, Tommaso riprese la conversazione sulle torri saracene avviata di fronte all’incanto di torre Minervino e rivolto alla sua compagna, con un gesto della mano, le disse: «Guarda verso est, dove il sole confonde nella sua luce il mare e l’orizzonte. Forse era una giornata calma come questa, d’estate come adesso, quando da lì, nel millequattrocentottanta, arrivarono le galee turche che straziarono la città di Otranto e il suo circondario».
In effetti i Saraceni e i Turchi con le loro scorrerie erano stati il filo conduttore della visita di Otranto e lo furono anche nei giorni seguenti. Non che ci fosse un motivo specifico per parlarne, semplicemente, se visiti Otranto e la costa salentina, non ne puoi proprio fare a meno. Te lo ricordano a intervalli regolari le torri e le ville in stile arabeggiante che adornano il paesaggio.

Adriana, non colse l’invito. Il suo sguardo era intensamente attratto dall’architettura del palazzo in stile moresco che torreggiava sulla sua destra e nello sfondo azzurro del cielo ne ammirava la cupola ritagliata come in una cartolina. Richiamata da quell’immagine, chiese a Tommaso: «Lo hanno costruito i Saraceni ai tempi della loro conquista?»;
«Certo! Quel palazzo sarebbe diventato il quartier generale dei Turchi che, di tra le viole del cielo assolato, avevano ammainato le mezze lune», rispose Tommaso con simulata serietà.
Cosa diceva Tommaso? Non voleva per caso farle credere che il palazzo moresco fosse, come si dice, dell’epoca? Quella costruzione era un falso. Non era davvero il caso d’intendersene. Fu progettato e realizzato ai primi del Novecento, andiamo! Gli schiavi solamente non sapevano quello che facevano. I padroni avevano voluto che somigliasse. Andiamo!

Adriana aveva notato un che d’inverosimile nella frase di Tommaso, nonostante la sicurezza con cui l’aveva pronunciata, nonostante quel “certo” perentorio. E poi quel riferimento alle viole.
«Cosa dici? Sembrano i versi di una poesia. In genere non sei così poetico», osservò con un po’ di bonaria ironia.
«È un passo da “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene», rispose Tommaso, e per stupirla continuò a declamare:
«Attiguo a casa sua stava un palazzo moresco, denunciato dal salmastro, orientale come un riflesso sbiadito, scrostato sotto le volte degli archi e sulle cupole, abitato d’inverno da cristiani comodi che nell’estate pagana cedevano le due ali sul mare, per non morire di fame».
«Come mai lo ricordi a memoria?», chiese ancora Adriana;
«Carmelo ha abitato la casa vicino al palazzo moresco, su quella strada che scende verso il mare… e poi l’ho conosciuto quando ero ragazzo…», le rispose Tommaso con l’orgoglio di chi si sente parte di una storia.

Il pomeriggio andarono a visitarlo.
Il palazzo moresco era falso, indubitabilmente, ma era anche vero, e non solo perché reale. Era il testimone postumo di un passato lontano, un eone che aveva bloccato, dopo i fatti di Otranto, i rapporti tra Oriente e Occidente, emarginando la piattaforma salentina che dall’Oriente aveva ricevuto impulsi di civiltà e di grandezza.
«Lo ha fatto costruire qualche Aga Khan sedotto dalla bellezza della costa?», chiese ancora Adriana durante la visita.
«No, è stata una moda locale d’inizio Novecento, quanto mai opportuna perché, forse, ha risvegliato il bisogno di una nuova apertura all’Oriente, per vincere il senso di paura simboleggiato dalle torri che avevano fatto la guardia contro le incursioni del turco e che ora sorvegliavano il riposo dei villeggianti, non più preoccupate dalle invasioni».
No, il palazzo moresco non fu il quartier generale dei Turchi; fu il quartier generale del concessionario delle acque termali, quattro secoli dopo la cacciata dei Turchi, costruito sul niente di un promontorio roccioso, ostile e dimenticato.

Sta ai piedi di una tondeggiante collina, un tempo brulla ora rigogliosa pineta, che prese nome dalla sua funzione: montem saracenum fu nomata per via della torre costruita sulla cima ai tempi delle incursioni corsare dei Turchi. Torre Saracena quella, torre di guardia, sentinella di pietra in comunicazione visiva con altre torri gemelle disseminate lungo la costa. Da molto tempo non vigila più, non custodisce, guarda il palazzo e si meraviglia, spaesata perché non ha visto feluche e mezzelune, scimitarre e turbanti, giannizzeri e dervisci aggirarsi sul mare e sulla costa quando il palazzo fu costruito. È guardata, piuttosto, dal basso verso l’alto, testimone di un tempo che è stato, esposta nello stemma dei luoghi che ha protetto, simbolo alla stregua del palazzo: scelti a furor di turista che immancabilmente li immortala con il click della fotocamera.
Con un click li fotografò anche Adriana, il palazzo moresco con la sua cupola imponente e dietro la torre, in una notte di luna che rischiarava la scena riflettendosi sul mare appena increspato da una brezza leggera.

È passato oramai qualche decennio da quell’estate del millenovecentottanta in cui Adriana era andata a trovare Tommaso in Salento. Erano innamorati a quel tempo, poi finita l’Università era finito anche l’amore. Di quell’estate le è rimasto qualche ricordo e una fotografia un po’ sbiadita: un palazzo moresco, la sua cupola e una torre in una notte di luna piena.

L’autore – Antonio Elia
Nato nel 1950 in Salento, a Santa Cesarea Terme. Vive e lavora a Cuneo dove ha insegnato materie giuridiche ed economiche nelle scuole superiori e per dieci anni anche alla SISS. È stato giudice presso la Commissione tributaria regionale del Piemonte e ha pubblicato testi di economia e saggi di didattica dell’economia e del diritto. Nel 2014 viene edito da Manni il suo primo romanzo, Andavamo lontano.

Approfondimenti: per scoprire il Salento
Santa Cesarea Terme
è situato sulla costa orientale della penisola salentina, all’imbocco del Canale d’Otranto. Stazione idrotermale, le cui acque sulfureo-salso-bromoiodiche sgorgano a una temperatura di 30° in quattro grotte denominate Gattulla, Solfurea, Fetida e Solfatara.

Passeggiando per Santa Cesarea sono visibili una serie di ville in stile eclettico, costruite tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo. Tra tutte la più suggestiva senza dubbio è Villa Sticchi, espressione dello stile moresco. L’edificio venne edificato per volontà di Giovanni Pasca, primo concessionario dello sfruttamento termale di Santa Cesarea, tra il 1894 e il 1900. Situata su uno sperone roccioso a venti metri sul livello del mare, presenta un porticato con archi poggianti su colonne tortili, una duplice rampa di scale culminante in un’ampia loggia con trifora, delicati intagli nella pietra leccese, opera di maestranze locali, impreziosiscono porte e finestre, mentre rimangono deboli tracce delle pitture in bianco, azzurro e rosso con arabeschi, stelle e motivi floreali. La grande cupola era accompagnata da quattro più piccole poste sopra le torri angolari. Il rivestimento esterno della cupola presentava motivi geometrici realizzati con intonaci riflettenti, secondo i dettami dell’architettura islamica.

Nel territorio di Santa Cesarea Terme si incontrano quattro torri costiere : Torre Santa Cesarea, Torre Miggiano, Torre Specchia di Guardia, Torre Minervino. La prima di queste è la protagonista del racconto di Antonio Elia, Montem Saracenum. Detta anche Torre del Belvedere e denominata in passata Torre del Monte Saracino, è posta a 110 metri sul livello del mare ed è una delle tante torri difensive, costruite nel XVI secolo, sparse lungo la costa salentina e che servivano da vedetta contro le incursioni dei Saraceni. La torre ha una forma circolare, leggermente scarpata. Realizzata con pietrame irregolare e presenta una piccola finestra quadrata, è circondata da una vasta area di macchia mediterranea e domina la collina sopra l’abitato.

Va ricordato che per secoli Saraceni e Turchi sono approdati sul litorale pugliese spinti sia dal desiderio di conquista sia semplicemente per compiere razzie che per ragioni di strategia militare contro le importanti basi commerciali e navali dell’Occidente cristiano. Va specificato, che le incursioni delle due popolazioni non furono contemporanee, ma tra IX e X secolo il Salento dovette sopportare gli assalti dei Saraceni, mentre la lunga serie di assalti turchi e corsari sono da collocarsi intorno al XV secolo fino a diventare più intensi nel corso del 1500. Il più eclatante di questi episodi è l’assedio di Otranto del 1480.

 

* La grafica della cover è a cura di Dora Foti Sciavaliere