Una pietra sul passato di Sabrina Grementieri: un racconto per Salento in Love

Tra i racconti selezionati per il primo step del contest “Salento in Love – I mari e le torri” è la volta di un’altra conoscenza di Morfè e del primo Premio romance Salento in Love, Sabrina Grementieri, che torna tra noi con il suo racconto Una pietra sul passato.

Un pietra sul passato
di Sabrina Grementieri

Le strade erano deserte. Le case affacciate sulla scogliera avevano le imposte chiuse, schiaffeggiate dagli spruzzi salati delle onde che si schiantavano contro le rocce poco distanti.
Accostò l’auto al marciapiede, le cui pietre bianche bagnate dall’acquazzone notturno brillavano sotto i timidi raggi del sole. Spense il motore e sospirò. La determinazione che l’aveva riportato in quelle terre lo stava abbandonando e il paesaggio malinconico non l’aiutava.

Si passò le mani sul viso strofinando con rabbia, quasi a volersi liberare dall’espressione tetra e spaventata che lo accompagnava ormai da giorni. Era convinto che ritornare dove tutto era finito avrebbe potuto aiutarlo a ricominciare. Ora i dubbi lo travolgevano, impetuosi come le onde che agitavano il mare sotto di lui.

Scese dall’auto sbattendo la portiera e, quando lasciò vagare lo sguardo attorno a sé, impiegò pochi secondi a individuare la torre. I ricordi lo assalirono, lasciandolo senza fiato. Ogni centimetro di quelle rocce gli parlava di lei, dei suoi occhi color cioccolato grandi e luminosi, le labbra sempre piegate in un sorriso e le mani lunghe che gesticolavano di continuo accompagnando le sue parole.
Lei gli aveva raccontato tutto ciò che era possibile sapere su quelle pietre: dalla torre di avvistamento cinquecentesca alle rovine del castello a picco sul mare. Dal santuario della Madonna al vecchio villaggio disabitato nell’entroterra dove la popolazione si era rifugiata attorno alla fine del 1400 in seguito alle incursioni turche.

Maddalena amava la storia e l’archeologia e non perdeva occasione per lanciarsi in affascinanti racconti di storie antiche. Non si fermava di fronte a nulla, nemmeno alle sue repliche insofferenti.
«Possibile che non si possa parlare di cose più recenti?» brontolava.
Adesso, ripensando all’entusiasmo di Maddy, si ritrovò ad ammettere che parte della sua irritazione era dovuta all’invidia. Per lui ottenere il diploma era stato un enorme sforzo e, al di fuori della passione per le moto, Davide non aveva interessi. L’unica cosa che gli importava era divertirsi, uscire con gli amici e rimandare a data da destinarsi il momento in cui trovare un lavoro e mettere la testa a posto.

Aveva conosciuto Maddalena proprio su quelle rocce accanto alla torre dove, assieme ad altri studenti, visitava alcune grotte dove erano stati effettuati degli scavi archeologici. Lei sembrava immune al suo sguardo magnetico e alla risata contagiosa. I suoi grandi occhi scuri brillavano alla vista dei ruderi del castello sopra il promontorio ma non sembravano affatto colpiti dai suoi tentativi di corteggiarla. Per Davide era stata una sfida troppo allettante: conquistarla non era stato affatto difficile, di certo non quanto ammettere di essersene innamorato.

Una folata di vento gelido lo fece rabbrividire. Ficcò le mani in tasca stringendosi nel giubbotto e si incamminò verso la torre. Un sentiero in terra battuta serpeggiava tra il mare e la strada e conduceva al sito dell’antico castello. In giro non c’era anima viva e per una frazione di secondo Davide fu tentato di risalire in macchina e dileguarsi: nessuno si sarebbe accorto di lui.
Invece scrollò il capo proseguendo deciso: si era fatto quasi mille chilometri per rivederla e non se ne sarebbe andato. Anche se non era affatto sicuro che lei avrebbe avuto voglia di incontrarlo: lui le aveva portato via tutto.

In pochi minuti si trovò a calpestare le forme simmetriche di quello che rimaneva dei vecchi edifici. Aveva ricordi vaghi di tutte le informazioni che Maddy condivideva con lui, ma era sicuro che quel luogo avesse origini antichissime, e che fosse stato distrutto e ricostruito una infinità di volte.
Guardando quelle vecchie pietre disposte con cura Davide continuava a non provare alcun interesse per la loro storia. Ma i sensi di colpa e la nostalgia gli provocarono una fitta al petto e desiderò poter tornare indietro, e cancellare tutto il male che le aveva fatto.

Sollevò la testa lasciando correre lo sguardo attorno a sé. Il sole non era riuscito ad averla vinta contro il fronte di nuvole che, da est, si stava velocemente avvicinando alla terraferma. Il vento soffiava freddo e stizzoso e lui si avvicinò al bordo della scogliera, fissando la torre diroccata che si ergeva su un isolotto roccioso separato dalla terraferma da un sottile nastro di mare. Si erano avventurati più di una volta, nel cuore di notti illuminate dalla luna, attraverso quella striscia di mare per rifugiarsi all’interno della torre, dove lasciavano che la calda brezza estiva abbracciasse e asciugasse i loro corpi avvinghiati.

Il loro idillio si era spezzato quando Maddalena gli aveva annunciato di essere incinta. Era inorridito, insensibile alla preoccupazione e ai timori di lei. Stavano per assumerla presso l’Università del Salento, dove lavorava l’archeologo che aveva scoperto le iscrizioni all’interno della vicina grotta della Poesia: Maddy non avrebbe rinunciato al bambino se lui glielo avesse chiesto, anche a discapito dei propri sogni.
Ma lui se n’era andato. Senza una parola, un biglietto, un messaggio. Aveva accettato in fretta e furia una proposta di lavoro di un amico e si era rifugiato al Nord.

Cinque anni erano trascorsi da quel giorno. Davide aveva perso i genitori e il lavoro e si era trovato costretto a tirare le somme della sua esistenza. Come gli accadeva sempre più spesso, il pensiero era tornato a Maddy. Non aveva più avuto sue notizie e quando, dopo giorni di telefonate, l’aveva raggiunta, lei aveva ascoltato in silenzio la sua richiesta di incontrarlo. E aveva riattaccato senza una parola. Era improbabile che quel giorno lei comparisse lì, nel luogo magico dei loro incontri, ma Davide aveva tutto il tempo del mondo. E un bisogno profondo di chiederle perdono.

Si sedette su un masso umido stringendosi le braccia al petto, seguendo con gli occhi i contorni irregolari della torre e lasciandosi travolgere dai ricordi. Se non avesse chiuso quella porta sul passato, non ci sarebbe stato alcun futuro degno di quel nome per lui.

L’autrice – Sabrina Grementieri
Nata a Imola, diplomata in lingue e laureata in scienze politiche indirizzo internazionale, ha studiato un anno in Germania con una borsa di studio, e lì è tornata per preparare la tesi sui campi di concentramento. Non ho mai avuto le idee chiare su cosa fare da grande e ha fatto mille lavori, nel frattempo è diventata moglie e madre. Tre però sono le costanti degli ultimi anni della sua vita: la passione per i viaggi, per la lettura e per la scrittura.

Durante la sua seconda gravidanza ha scritto il suo primo romanzo, Una seconda occasione, pubblicato da EEE-book nel 2012. L’anno successivo, con la stessa casa editrice, è stato pubblicato Noccioli di ciliegie, che è stato per molti mesi nella Top 100 di Amazon. Nell’ottobre 2014 ha pubblicato un romanzo breve per la collana Youfeel di Rizzoli, Celeste era il mare.

Ha scritto anche alcuni racconti: Il Principe del Mare, arrivato tra i finalisti del Premio letterario “Salento in Love” edito in’omonima antologia digitale; C’era una volta, nell’antologia E dopo Carosello tutti a nanna – Storie di donne e mamma Rai pubblicato da EWWA; Dolci Sorprese, edito da Emma Books nell’antologia Voci a Matera; Negli occhi, nella pelle, nel cuore, un racconto scritto in collaborazione con altri scrittori della sua città per festeggiare i sessant’anni dell’Autodromo di Imola. Il 14 giugno 2016, per Sperling & Kupfer arriverà il libreria La finestra sul Mare, ambientato nel Salento.
http://sabrinagrementieri.com/

Approfondimenti: per scoprire il Salento
La torre a cui fa riferimento il racconto di Sabrina Grementieri, Una pietra sul passato, è quella di Roca Vecchia, una località costiera del Salento e una delle marine di Melendugno, in provincia di Lecce. Si affaccia sul Mare Adriatico ed è posta tra San Foca e Torre dell’Orso.

Si racconta che nel XIV secolo, il conte Gualtiero di Brienne decise di edificare in questo luogo una cittadella fortificata, attratto dalla felicità della sua posizione geografica, e la chiamò Roche, da cui Roca, a cui apparteneva anche la Torre di Maradico, altro nome della Torre Roca Vecchia, così chiamata a causa delle paludi che ancora oggi la circondano, rendendola una zona poco salubre. Costruita nel 1568 dal maestro Tommaso Garrapa, quando la città medievale era già in rovina, è a base quadrata e a forma troncopiramidale, tipica del periodo vicereamale spagnolo. Comunica a nord con Torre San Foca e a sud con Torre dell’Orso e nel 1576 Antonio Tamiano, procuratore dell’Università di Roca, la munì di un moschetto da una libbra, ricevuto dal sindaco di Lecce.

Di grande interesse si segnalano, inoltre, le rovine del castello a picco sul mare, il santuario della Madonna di Roca del XVII sec. e le due grotte Posia (dal greco, “sorgente d’acqua dolce”), meglio note come grotte della Poesia. Queste ultime, in particolare, distanti circa 60 metri l’una dall’altra, sono delle grotte carsiche cui sono crollati i tetti; l’acqua del mare giunge in ciascuna di esse attraverso un canale percorribile a nuoto o con una piccola imbarcazione. La più piccola delle due ha una notevole importanza in ambito archeologico poichè legata al rinvenimento nel 1983 di iscrizioni messapiche (ma anche latine e greche) sulle sue pareti, da cui è stato possibile stabilire che la grotta fosse anticamente luogo di culto del dio Taotor (o anche Tator, Teotor, o Tootor).

La campagna di scavi effettuati a Roca Vecchia hanno evidenziato un imponente sistema di fortificazioni risalente all’età del bronzo (XV-XI secolo a.C.), oltre a numerosi reperti che per affinità ricordano modelli minoici ed egei. Si ritiene che, in un periodo databile intorno al XV secolo a.C., il sito sia stato assediato e incendiato. Anche le successive mura, ricostruite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incendio. Di questo luogo misterioso, che come la mitica Troia fu più volte distrutto e più volte ricostruito si ignora chi fossero i popoli fondatori e perfino se queste fortificazioni servissero a difendere una città oppure – come appare più probabile – un importante luogo di culto.

Il sito fu frequentato nell’Alto Medioevo da anacoreti, provenienti perlopiù dall’Impero Romano d’Oriente, che col tempo costituirono una comunità, abitando in una serie di grotte scavate nel calcare. Agli inizi del XIV secolo, Gualtieri di Brienne, conte di Lecce, ricostruì Roca facendone una città fortificata, ma nel 1480 la sua popolazione venne messa in fuga dalle incursioni turche. In quell’anno infatti il sultano Maometto II, dopo aver conquistato Costantinopoli (1453) e sottomesso tutta la Penisola Balcanica, inviò una spedizione che sbarcò sulla costa orientale del Salento. Roca Vecchia fu saccheggiata e usata dai Turchi come base operativa per sferrare attacchi alla città di Otranto e ad altri centri salentini. È in questo contesto che si colloca la figura, ricorrente nei racconti dei casali di discendenza Rocana, Calimera, Melendugno, Borgagne e Vernole, della mitica Donna Isabella sventurata, castellana di Roca che perse il feudo, insieme al marito ed al figlio morti in battaglia. La città, liberata nel 1481, divenne successivamente covo di pirati, tanto che nel 1544 Ferrante Loffredo, governatore della provincia di Terra d’Otranto, dette l’ordine di raderla al suolo.

Si ricorda inoltra il Santuario di Maria Santissima delle Grazie o cripta di Roca Vecchia. Di origini sconosciute, venne costruita sul sito di un antico ipogeo rupestre o un’antica grotta bizantiina. La struttura, semiinterrata, si presenta a tre navate. Sotto di essa vi è una grotta di origine carsica, in gran parte ingombrata da macerie provenienti dal crollo dell’abside dove vi doveva essere, oltre all’icona, una grande statua della Madonna in oro zecchino. Il santuario presenta un unico altare interamente di pietra leccese, in cui è incastonata l’effigie della Madonna che la leggenda vuole essere stata ritrovata da un giovane pastorello rocano che andava cercando un agnellino disperso. Da molto tempo il santuario è meta di pellegrinaggi: la prima volta in cui si parla di pellegrinaggi diretti a questo santuario è il 1656.

* La grafica della cover è a cura di Dora Foti Sciavaliere