Nuova recensione emotivamente difficile per la sottoscritta. Oggi vi parlo di un’altra serie del cuore: “Scrubs”.
Non faccio parte del club di chi ha iniziato a seguirla fin dal debutto, ma di quelli che l’hanno cominciata a vedere dopo la sua conclusione. Prima stagione finita al termine del primo lockdown nazionale. Poi, dopo un anno di pausa, ricominciata a guardare nel secondo lockdown e divorata nel giro di una settimana. Ho sempre avuto un problema con le stagioni di esordio, ma questo non dipende da “Scrubs”.
Ho fin da subito compreso quanto il mio approccio a questa creatura di Bill Lawrence sia stato in realtà azzeccatissimo in termini di tempistica e anagrafici perché i protagonisti hanno la mia età. L’età più meschina di tutte. Quella che va dai ventiquattro ai ventisei anni, quando non ti senti né carne né pesce. Hai finito di studiare, ma ti rendi conto che quello è solo il punto di inizio di una lunga scalata e di una lunga gavetta.
E come tutti noi giovani adulti, zattere in un mare in tempesta, i personaggi principali attraversano le problematiche tipiche del periodo. Le cadute ad un passo dal traguardo, le “pugnalate” nei momenti più delicati, la morte, la vita, le delusioni.
Lo show, nel primo decennio degli anni duemila, ha rivoluzionato il classico genere delle sit-com e del medical-drama emergendo come outsider.
Al contrario dei suoi simili, Scrubs vede i suoi protagonisti maturare insieme alle situazioni che la vita gli palesa. Partono come medici tirocinanti dell’Ospedale Sacro Cuore e, sotto la guida del Dottor Cox, del Dottor Kelso e, perchè no, anche dell’inserviente e dell’avvocato Ted, crescono e sviluppano consapevolezze che solo con il dolore ed il sacrificio si possono conquistare.
Questa perfetta commistione tra il comico e il tragico, la leggerezza e la profondità è uno dei punti forti di questa serie.
Altra chiave del suo successo si deve indubbiamente a Zach Braff, che ha plasmato il suo fantastico J. D., rendendolo, a mio avviso, uno dei personaggi principali del genere sit-com più riusciti, complessi e ben interpretati di sempre. È molto semplice e naturale empatizzare con J. D. Fa sorridere, è divertente, ma le sue paure, le sue ansie e le sue insicurezza sono un po’ quelle di tutti noi.
“Scrubs” fa quello che dovrebbe superando le aspettative: consente allo spettatore di ritrovare anche solo un briciolo di sé nei protagonisti.
E a fine visione inevitabilmente penserai: “sono io che ho guardato Scrubs o è Scrubs che ha guardato me?”
«Io non credo nel destino, molto dipende da noi e ad ogni azione corrisponde una reazione, dopotutto, anche l’evento più insignificante come il battito d’ali di una farfalla può cambiare ogni cosa, a volte in meglio, anche se all’inizio non sembra. Ma con tanta parte della vita affidata al caso non puoi fare a meno di chiederti: “E se fosse andata in un altro modo?”» – J.D.
Liliana Passiatore