Veniva dal mare di Fernanda Romani: un racconto per Salento in Love

Siamo arrivati all’ultimo racconto selezionato per la prima fase del contest “Salento in Love – I mari e le torri”. Chiudiamo questo step con Fernanda Romani e il suo racconto Veniva dal mare, che mescola personaggi della storia e delle leggende del Salento.

Veniva dal mare
di Fernanda Romani

Mi chiamavano Lupo.
Ero il guardiano di questa torre nel Salento, scrutavo il mare per difendere la mia gente dai Turchi. Contavano su di me e io ero i loro occhi. Mi perdevo nel blu dell’orizzonte, giorno dopo giorno, immerso nel profumo della salsedine e dei fiori che si affacciavano sulla spiaggia.
La solitudine era il mio respiro, andava oltre i muri, accarezzava i granelli di sabbia e lambiva il gioco delle onde nel loro costante andirivieni.
Conoscevo le grida di ogni uccello pronto a segnalare cibo o nemici, gli abitanti dell’aria comprendevano la mia presenza, ero parte del mondo, così come lo erano loro. La via d’acqua era sia amica che nemica, io la sorvegliavo, spaziando con lo sguardo dove il blu incontrava il blu. Conoscevo le navi dei mercanti, cariche di spezie e stoffe preziose; salutavo i pescatori, uomini rudi, forgiati dal mare; nessuna vela saracena è mai sfuggita al mio occhio.

Mi chiamavano Lupo.
Vivevo da solo, in questa torre che era la mia casa e la mia prigione. Non sognavo mai, per non perdere sfumature e bagliori che potevano nascondere il nemico. Il mondo che proteggevo non voleva i miei sogni, soltanto la mia vita, ogni giorno.
Era l’alba quando la vidi sulla spiaggia. Corsi da lei, figura distesa sulla sabbia, illuminata dal sole che si alzava senza fretta. Aveva lunghi capelli neri e una ferita sul fianco, tra le scaglie lucenti ormai rosse del suo sangue. Il mio sguardo, abituato alla vastità del mare, racchiuse dentro di sé il candore del suo viso. Il mio primo sogno fu di vederla aprire gli occhi per contemplare le gemme incastonate su quell’ovale perfetto.
La presi tra le braccia e la portai nella mia torre, come il bambino che racchiude tra le dita la più bella delle conchiglie, senza mostrarla a nessuno. Curai la sua ferita e ammirai il corpo disteso nel mio letto. Avevo trovato un mito, una leggenda.
Un sogno.
Quando sollevò le palpebre, due profondi abissi blu si spalancarono davanti a me e affondare fu una gioia mai provata prima.
Mi vide e divenne donna, vestita di lino e di cotone. La magia si era trasformata in realtà e il mio cuore esultò nel sapere che non ero più solo.

Si chiamava Enisia ed era triste. Da molto tempo cercava suo figlio, perduto negli abissi, forse vittima degli stessi pescatori che avevano ferito lei. Uomini resi folli dall’idea di catturare un mito. Cantava il suo dolore, immobile, in attesa della guarigione, pronta a riprendere la ricerca.
Io gioivo e soffrivo, senza chiedere nulla. Ascoltavo la sofferenza scorrermi nelle vene e frantumare ogni certezza.
Scrutavo l’orizzonte con la testa piena di sogni e odiavo il giorno in cui se ne sarebbe andata.
Lei era la luce e il buio ristoratore, la brezza lieve che ti sfiora il viso e il vento impetuoso che gonfia le vele e ti riporta a casa. Lei era felicità e tristezza, e io non ero più un uomo immerso nell’orizzonte. Il mio mondo non era più l’immensità tra l’azzurro e l’indaco, era la donna che riposava nel mio letto e mi straziava il respiro con i suoi occhi limpidi.
Non ero più un guardiano, solo un uomo intento ad ascoltare il proprio cuore.
Due pescatori vennero alla mia torre per offrire il frutto del loro duro lavoro, ma non riuscirono a ingannarmi. Vidi i loro occhi ardenti scrutare dentro la mia porta, in cerca del mito, pronti a rubare il mio sogno. I loro coltelli non mi facevano paura, difesi la creatura che mai avrei avuto per me, ma che sarebbe sempre stata il mio solo e unico mondo. Uccisi i suoi inseguitori e gettai i loro corpi in mare.
Non ero più un guardiano, solo un uomo che proteggeva la propria casa.
Allora compresi.
Sarei stato suo per sempre, ma lei non doveva essere mia.
C’erano uomini e donne che contavano su di me, vite da preservare contro la violenza dei Turchi.
Dovevo tornare a essere il lupo solitario dedito a sorvegliare la distesa d’acqua, da cui poteva arrivare la morte per tutti.
Quando lei se ne andò non dissi nulla. La guardai camminare dentro l’immensità liquida che l’aveva condotta da me e poi scivolare via. Il suo canto d’addio è sepolto nel mio cuore per sempre e mi ha dato la forza di andare avanti, giorno dopo giorno.
Anno dopo anno.

Mi chiamavano Lupo.
Sono morto davanti al mare che ho scrutato per tutta la vita. Ho protetto la mia gente dal nemico e da secoli vago su questa spiaggia in cerca del mio sogno.
Il suo canto è ancora nel mio cuore, mai ho dimenticato il profondo blu dei suoi occhi.
La mia casa ormai è un rudere, attorniato da folte erbe in fiore, un lontano ricordo di un pericolo che non esiste più. L’hanno chiamata Torre Lupo, nel Salento il mio nome non è stato dimenticato.
Osservo le pietre consumate, mi muovo nel vento della costa, ascolto le grida degli uccelli in cerca di cibo, ma nessuno mi dà notizie di lei.
Solo oggi, all’alba, ho visto un bellissimo giovane scivolare fuori dalle onde. Rideva con una voce di cristallo e le sue scaglie lucenti brillavano al sole. Ha toccato terra ed è diventato uomo; i suoi piedi scalzi hanno lasciato orme sulla sabbia. La fanciulla che lo seguiva pareva uscire dalla magia di uno specchio di zaffiro: aveva lunghi capelli neri e gli occhi erano blu, profondi come l’abisso. È diventata donna per correre assieme a lui.
Mano nella mano, hanno intonato una melodia che nessun altro avrebbe potuto sentire.
Allora ho udito un canto emergere dal vento, lo stesso che tenevo racchiuso nel mio cuore.
Lei era lì.
Il suo corpo era brezza e raggi di sole, e avanzava illuminando il mondo con la propria gioia.
“Mi ero perduta” diceva la sua voce “ ma loro ti hanno trovato per me.”
Ci abbracciammo nella luce dorata dell’astro nascente e diventammo un solo spirito, davanti agli sguardi incantati di due giovani amanti.

L’autrice – Fernanda Romani
Nata nel 1962, in provincia di Rovigo, si dedica alla scrittura da circa cinque anni, con una predilezione per il genere fantasy. Collabora, come recensore, con il blog “Babette legge per voi”. È membro di EWWA un’associazione di autrici e di professioniste del mondo della comunicazione  che ha come obiettivo primario la solidarietà professionale e creativa tra donne che lavorano in questo settore in Europa.

Ha pubblicato diversi racconti in antologie di Delos Books, Limana Umanìta e Alcheringa Edizioni.

Il suo racconto breve “Il talismano” è stato pubblicato in ebook da Lettere Animate. Sta pubblicando in self-publishing la saga fantasy “Endora”, di cui sono già usciti i primi due episodi e il racconto spin-off prequel gratuito “Indegno”. Il terzo episodio uscirà alla fine del 2016. Il quarto, e ultimo, volume è previsto per il 2017.

Approfondimenti: per scoprire il Salento
Torre Capo Lupo
(o Torre Lupo) chiamata così dal nome del caporale che qui risiedeva, è delle torri costiere del litorale salentino, posta nel comune di Diso nella frazione di Marittima a 105 m sul livello del mare. Risalente alla fine del XV secolo, fu costruita a scopo difensivo contro le incursioni dei Turchi e comunicava a nord con Torre Diso, nel comune di Castro, e a sud con Torre Porto di Ripa, situata nel comune di Andrano (entrambi oggi non più esistenti).

Il nome della torre, Capo Lupo o semplicemente Lupo, deriva da quello del caporale che qui risiedeva, anche se la presenza di numerosi e magnifici muri para-lupi, ancora instancabilmente in piedi dopo secoli dalla loro erezione, farebbe presupporre che la presenza di questo animale fosse un tempo particolarmente intensa in questi boschi.

* La grafica della cover è a cura di Dora Foti Sciavaliere